“Pericolo per la salute o metodo di cottura 2.0?

Il principio di funzionamento del forno a microonde sfrutta una corrente elettrica ad alta tensione

 

La storia dei forni a microonde inizia, analogamente ad altre scoperte importanti nella storia dell’uomo, attraverso il caso e l’osservazione degli avvenimenti che mettono in moto la più grande delle forze: la curiosità. Percy leBaron Spencer nel 1947 era un ingegnere assunto alla Raytheon Company, un’azienda americana specializzata nella difesa, e il suo compito era di costruire magnetron per la produzione di microonde per i radar. Un giorno Percy si trovò di fronte a un magnetron attivato, e la barretta di cioccolato che aveva in tasca improvvisamente si sciolse.

 

Decise così di provare cosa sarebbe successo se avesse portato con sé dei pop corn, e questi esplosero senza controllo per tutta la stanza, come accadde successivamente ad un uovo sottoposto allo stesso destino: detonare in faccia allo sperimentatore. Nel 1946 la Raytheon brevettò il processo di cottura a microonde, e l’anno successivo creò il primo forno a microonde: era alto quasi due metri, e pesava circa 340 kg.
Nacque così il primo forno a microonde per la cottura degli alimenti nella storia dell’uomo. Il principio di funzionamento del forno a microonde sfrutta una corrente elettrica ad alta tensione che viene inviata al dispositivo del forno (il magnetron) per produrre radiazioni a microonde nello spettro elettromagnetico.

 

Questo campo elettrico comporta che molecole molto polari come l’acqua siano spinte a girare su sè stesse sotto la sua influenza, proprio come fa una bussola impazzita. Quindi l’acqua, i grassi, e altre macromolecole nel cibo assorbono energia dalle microonde in un processo chiamato riscaldamento dielettrico.
Molte molecole (come l’acqua) sono dipoli elettrici, ciò significa che hanno una carica parziale positiva ad una estremità e una parziale carica negativa all’altra estremità, e quindi quando sono sottoposte al campo elettrico alternato sono spinte a ruotare mentre cercano di allinearsi ad esso. Le molecole ‘rotanti’ colpiscono altre molecole e donano loro parte della loro energia cinetica, disperdendo così energia.

 

Questa energia, quando viene dispersa come vibrazione molecolare nei solidi e nei liquidi, è energia termica e quindi calore.

Il riscaldamento a microonde è più efficiente nei liquidi che nei solidi (più nell’acqua allo stato liquido che allo stato solido) dove il movimento delle molecole è più limitato.
Il riscaldamento dielettrico è anche dipendente dalla temperatura: a 0 °C, la perdita dielettrica (perdita di potere riscaldante) è maggiore rispetto a temperature di utilizzo maggiori (Chaplin and Martin 2012). Rispetto all’acqua, il riscaldamento a microonde è meno efficiente su grassi e zuccheri (che hanno un momento dipolare minore): zuccheri e trigliceridi infatti assorbono le microonde a causa dei momenti dipolari dei loro gruppi ossidrilici o gruppi esterei, tuttavia, a causa della capacità termica specifica inferiore di grassi e oli e la temperatura di vaporizzazione più elevata, spesso raggiungono temperature molto elevate all’interno dei forni a microonde (Chaplin and Martin 2012).

 

 

 

Il riscaldamento a microonde è più efficiente nei liquidi che nei solidi, dove il movimento delle molecole è più limitato.

 

 

 

 

Questo può indurre temperature molto al di sopra del punto di ebollizione dell’acqua, e abbastanza alte da indurre alcune reazioni di imbrunimento, tanto quanto nei modi di cottura convenzionali come la griglia, la piastra o la frittura. Per contro, gli alimenti ad alto contenuto di acqua e con pochi grassi raramente superano la temperatura di ebollizione dell’acqua (frutta e verdura).

 

Un errore comune è credere che i forni a microonde cuociano il cibo “dall’interno”, cioè dal centro verso l’esterno. Ciò può verificarsi se all’interno di un alimento è presente un contenuto di umidità maggiore rispetto allo strato esterno più secco e quindi ‘croccante’. Ma può anche verificarsi il contrario, ovvero se lo strato esterno del cibo presenta un contenuto di umidità elevato e quindi assorbirà la maggior parte dell’energia determinando una minore propagazione di calore al cuore del prodotto, effetto estremamente pericoloso se si necessita di ridurre la carica microbica
con un trattamento di cottura.

 

Nella maggior parte dei casi, tuttavia, in un alimento uniformemente strutturato o con contenuto di umidità ragionevolmente omogeneo, le microonde sono assorbite negli strati esterni ad un livello simile a quello degli strati interni. A seconda del contenuto di acqua, la profondità della penetrazione del calore iniziale può essere di parecchi centimetri o più con la cottura a microonde, in contrasto con metodi convenzionali di riscaldamento che riscaldano principalmente la superficie dell’alimento (griglia o piastra) rendendo necessario un tempo di cottura maggiore per portare a temperatura il cuore del prodotto. La profondità di penetrazione delle microonde dipende infatti dalla composizione dell’alimento e dalla frequenza di irraggiamento; con frequenze di microonde più basse (lunghezze d’onda più lunghe) la penetrazione del calore risulta maggiore (minore potenza di utilizzo).

 

Nei procedimenti di cottura a microonde dunque, le temperature raggiunte raramente eguagliano quelle dei metodi di cottura convenzionali come la griglia, la piastra e il forno, poichè le principali molecole che trasmettono il calore, quelle d’acqua, permettono il raggiungimento del plateau di temperatura di ebollizione dell’acqua, dopodichè tutta l’energia fornita successivamente servirà proprio per far passare di stato il suddetto liquido, e solo dopo che tutta l’acqua sarà evaporata la temperatura potrà innalzarsi.

Questo chiaramente in una matrice principalmente acquosa; diverso è il caso di matrici prevalentemente anidre, dove le temperature possono innalzarsi ben oltre i 100°C.
In caso di ambienti misti se la distribuzione di umidità è omogenea vale lo stesso discorso, con la differenza che la presenza dei grassi determinerà una maggiore velocità di innalzamento della temperatura, che tuttavia raggiungerà sempre il plateau dei 100°C fino a che sarà presente acqua.

 

La temperatura più bassa di cottura (il punto di ebollizione dell’acqua) unita ad un minor tempo necessario al riscaldamento è un vantaggio di sicurezza significativo rispetto alla cottura in forno o alla frittura, perché riduce enormemente la formazione di ammine eterocicliche e sostanze degradate con attività procancerogena.
In questa direzione uno studio giapponese nel 2004 ha confrontato diversi metodi di cottura riguardo la formazione di ammine eterocicliche negli alimenti, dimostrando come la cottura a microonde non ha determinato la formazione di questi composti di degradazione in pesce e carne, al contrario di metodi convenzionali come la frittura e la scottatura alla piastra (Sugimura et al 2004) Uno studio successivo condotto da Österdahl e Alriksson nel 2009 ha confermato questo risultato: sono state ricercate nitrosammine volatili nella pancetta dopo cottura a microonde, e i risultati sono stati confrontati con quelli ottenuti dopo aver fritto il bacon in padella.

 

La pancetta cotta a microonde ha dimostrato di avere livelli significativamente più bassi di nitrosamine evidenziando come la cottura a microonde possa essere un utile alleato per cuocere i cibi evitando la formazione di questi composti.
In alcuni casi pre-riscaldare il cibo nel forno a microonde prima di metterlo sulla griglia o in pentola riduce il tempo necessario alla completa cottura e può essere un’utile strategia per ridurre la formazione di questi composti cancerogeni, ma mantenendo comunque delle qualità organolettiche simili.
A differenza della frittura e della cottura al forno, il microonde non produce acrilammide (composto mutageno e cancerogeno che viene prodotto come l’acroleina a seguito della disidratazione del glicerolo, frutto dell’idrolisi dei trigliceridi) nella cottura delle patate, tuttavia a differenza della frittura, è solo di limitata efficacia nel ridurre i livelli di solanina in studi autorevoli da parte dell’FDA americana; problema che risolviamo semplicemente evitando di consumare patate inverdite.

 

Tuttavia la cottura a microonde non è completamente immune dalla formazione di acrilammide in tutti prodotti ricchi di amido, poichè questa è stata trovata in prodotti scaldati a microonde come i popcorn da Tice and Brevard (1999).

 

Nei prodotti amidacei come la patata il metodo di cottura può anche influire sull’indice glicemico attraverso la formazione di amido resistente, ovvero amido retrogradato la cui disposizione tridimensionale “impacchettata” delle catene di amido si rende meno accessibile alle amilasi, abbassando quindi la liberazione del glucosio. In questo senso la cottura in microonde delle patate risulta quindi uno dei migliori metodi, dopo la frittura, per la formazione di amido resistente:

 

Thed e Phillips nei loro primi studi riguardo la formazione di amido resistente, già nel lontano 1995 dimostrarono che la cottura in microonde delle patate determinava la formazione del 7,3% di amido resistente, contro il 9,1% della frittura, il 2,9% della bollitura, e il 6,2% della cottura al forno, attestandosi quindi come uno dei migliori metodi di cottura per ridurre l’IG di un alimento.
Non solo nelle patate, ma anche in una matrice differente come il riso il risultato sulla modifica dell’amido è stata simile: sono stati comparati da Gunathilaka e Ekanayake nel 2015 due varietà di riso basmati (Pakistano ed Indiano) e le rispettive differenze di IG in relazione al metodo di cottura utilizzato: quando questo veniva cotto in microonde il riso basmati di origine Pakistana ha subito un decremento di IG del 12,5%, mentre il riso basmati di origine indiana del 20,4%, rispetto alle controparti cotte tradizionalmente.

 

Ogni forma di cottura inevitabilmente distrugge alcuni nutrienti negli alimenti, ma le variabili chiave sono quanta acqua viene utilizzata nel processo, per quanto tempo il cibo è cucinato, e a quale temperatura. Quando le verdure sono sottoposte a processi di cottura, come la cottura in pentola a pressione, microonde, cottura al forno, cottura alla piastra, frittura, avvengono variazioni nella loro capacità antiossidante. Queste variazioni dipendono dal vegetale stesso, dal metodo di cottura, dalla biodisponibilità dei composti fenolici (Sultana et al 2007), dalla temperatura, dalla localizzazione delle strutture nelle verdure, dal taglio, dallo sminuzzamento (Makris e Rossiter 2001), dalla stabilità della struttura molecolare al calore (Prasad et al 1996; Pedraza-Chaverri et al 2006), dall’attività sinergica di altre molecole, e dai sistemi di reazione analizzati (ad esempio, il β-carotene è un efficiente ‘quencher’ dell’ossigeno singoletto, il che significa che grazie alla sua forma molecolare è in grado di ‘spegnere’ la forma ossidante dell’ossigeno ma senza donare elettroni, come lo sono invece vitamina C ed E) (Yamaguchi ed altri 2001).

 

 

 

In alcuni casi infatti dopo il procedimento di cottura in alcuni vegetali si assiste ad un aumento della capacità antiossidante, e sono state suggerite quattro possibilità per spiegare questo incremento:

 

1.la liberazione di elevate quantità di componenti antiossidanti a causa della distruzione termica delle pareti cellulari e compartimenti sub cellulari;

 

2. la produzione di forti antiossidanti radical-scavenger mediante reazione chimica termica;

 

3. la soppressione della capacità di ossidazione degli antiossidanti attraverso l’inattivazione termica degli enzimi ossidativi;

 

4. la produzione di nuovi antiossidanti o la formazione di nuovi composti come prodotti di reazione di Maillard con attività antiossidante come le melanoidine(Morales e Babel 2002).

 

Tuttavia, non è chiaro in che misura ogni possibile fattore contribuisce all’aumento dell’attività (Yamaguchi ed altri 2001).
Recentemente è stato dimostrato che il trattamento termico di mais dolce, pomodoro e altri ortaggi aumenta l’attività antiossidante totale, forse a causa di prodotti della reazione di Maillard come le melanoidine già citate precedentemente (Dewanto et al 2002; Nindo et al 2003). Sultana et al (2007), hanno riscontrato un aumento del potere riducente della carota dovuta in parte, all’eccezionale aumento di biodisponibilità dei carotenoidi, che avrebbero potuto compensare la perdita generale di vitamina C e altri antiossidanti non fenolici presenti nelle verdure.

 

In questo senso un importante studio condotto da Jimenez-monreal et al 2009 ha valutato l’influenza di metodi di cottura casalinghi (bollitura, cottura a microonde, cottura in pentola a pressione, piastratura, frittura e cottura al forno) sulla capacità antiossidante in 20 vegetali, usando differenti prove di attività antiossidante.

 

Le verdure esaminate sono state sottoposte alle combinazioni di tempo temperatura della Tabella 1:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Roberto Scrigna

Dott. Scienze e tecnologie alimentari

Dott. Alimentazione e nutrizione umana

 

 

 

 

 

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