Introduzione
In seguito all’emergenza pandemica che ha investito anche il nostro paese, l’adozione di restrizioni per salvaguardare la salute pubblica ha colpito inevitabilmente il mondo del fitness, compromettendo la possibilità di poter svolgere esercizio fisico.
In attesa che nuove modalità di accesso alle palestre, ai parchi e tutti gli spazi dedicati al movimento siano urgentemente elaborate dagli organi governativi, è necessario sottolineare come la pratica regolare dell’attività motoria sia fondamentale per la vita dell’uomo e la limitazione al suo svolgimento possa diventare nel tempo un fattore di rischio per la salute assolutamente da non sottovalutare.
Insieme alla nutrizione, l’attività fisica regolare rappresenta l’elemento dello stile di vita più influente sull’evoluzione età-correlata dei sistemi fisiologici (neuroendocrino, immunologico, cardiovascolare, muscoloscheletrico) e sull’impatto dei fattori di rischio di malattie croniche (obesità, aterosclerosi, ipertensione, diabete, artrite reumatoide)[1]. L’attività motoria è inoltre strettamente associata a una migliore salute mentale[1] e a una più soddisfacente integrazione sociale[1].
Nonostante le notevoli differenze genetiche e la variabilità di risposta tra soggetti di una determinata fascia d’età agli effetti dell’esercizio muscolare, l’attività fisica può diventare in molti casi l’elemento discriminante tra individui (attivi) che nel corso degli anni sperimenteranno una condizione di salute ottimale e un invecchiamento “fisiologico” e quelli (sedentari) che, invece, andranno in contro a una maggior incidenza di malattia e di mortalità[1].
Se l’attività fisica rappresenta uno strumento per intervenire in modo attivo nella prevenzione di molte patologie, l’inattività fisica non è dunque da considerarsi come una “neutra situazione di partenza”, sulla quale inserire programmi di allenamento al fine di ottenere benefici sulla salute. Al contrario, l’inattività fisica deve essere inquadrata come una situazione dai rischi e costi elevatissimi per la salute del singolo e con pesanti ricadute economiche a livello di bilanci pubblici.
Oltre ai più noti effetti dell’esercizio sugli aspetti morfo-funzionali del muscolo e sui sistemi fisiologici strettamente connessi allo svolgimento dell’attività (cardio-vascolare e polmonare), interessante è considerare come l’esercizio dia luogo a importanti adattamenti influenzando l’epigenetica e alcuni processi del sistema neuro-cognitivo.
Adattamenti biologici all’attività fisica
Gli effetti dell’esercizio sull’organismo possono essere studiati secondo modelli farmacologici dose-risposta (figura 1).
Con un programma di attività fisica moderato e adeguato alle esigenze funzionali dei soggetti (la giusta dose) si ottiene il massimo in termini di adattamento bio-fisiologico dell’organismo (controllo della pressione arteriosa, irroramento degli organi vitali, distribuzione e utilizzo di ossigeno e substrati per il lavoro muscolare, risposte immunologiche muscolo-mediate, eccetera), con un minimo rischio di malattia; mentre nei casi in cui l’attività fisica sia inadeguata, cioè assente o eccessiva, seppur con modalità diverse, la capacità di adattamento dell’organismo così come l’efficienza dei sistemi di controllo fisiologici si riduce, e il rischio di malattia può diventare significativo[2].
In particolare, è importante sottolineare come l’effetto benefico dell’esercizio fisico venga perso quando l’attività muscolare viene svolta a esaurimento e soprattutto in modo sporadico[3].
E’ noto, infatti, come l’attività motoria ad elevata intensità su soggetti poco o non allenati produca danni strutturali alla fibra muscolare più profondi rispetto ai soggetti allenati, dando origine a eccessive risposte infiammatorie con elevata produzione di Specie Reattive dell’Ossigeno (ROS)[3].
La produzione di citochine infiammatorie muscolari, IL-6 in particolare, e di ROS, entro certi limiti rientra nei fisiologici fenomeni di adattamento organico all’esercizio, capaci di migliorare la funzionalità dei sistemi difensivi immunologici e antiossidanti.
Se tuttavia il lavoro muscolare, da stimolo commisurato e programmato, diventa improvvisamente intenso e/o prolungato, la produzione di citochine infiammatorie e di ROS eccede la capacità dei meccanismi (cellulari e molecolari) in grado di contrastarli, compromettendo il potenziale adattativo generale dei sistemi fisiologici[3, 4].
Con l’invecchiamento i meccanismi fisiologici, cellulari e molecolari attraverso i quali l’adattamento all’esercizio risulta possibile vanno incontro a importanti variazioni, così come la loro relativa velocità di espressione nel reagire ad un determinato stimolo (in breve: rispetto a un giovane, un soggetto anziano a parità di allenamento può non raggiungere lo stesso livello di performance oppure impiegare più tempo per arrivare al medesimo livello di miglioramento fisico)[1].
Un limite di età oltre il quale le capacità adattative dell’organismo all’allenamento siano significativamente compromesse non è ancora stato definitivamente fissato, risentendo di notevole individualità; si ritiene comunque possano rimanere ben preservate fino ai settant’anni[1].
La sospensione dell’allenamento, sia aerobico, sia anaerobico, nei soggetti comporta una perdita degli effetti ottenuti (detraining), più rapida negli anziani rispetto ai giovani e agli adulti. Pur con notevoli variabilità in base al tipo di soggetto, alla sua storia di allenamento, alle capacità fisiche residue e all’eventuale presenta di patologie, in individui adulti/anziani già dopo 4 – 6 settimane si osservano le prime regressioni, soprattutto su parametri di flessibilità, agilità e capacità aerobica[5, 6].
La forza muscolare generale sembra essere meglio conservata, anche se dopo circa due mesi dall’interruzione di allenamenti contro resistenza (pesi, macchine, esercizi a corpo libero, eccetera) la sua espressione risulta essere significativamente compromessa nella maggior parte dei soggetti[7, 8].
Epigenetica e attività fisica: alle origini della vita
I meccanismi epigenetici sono stati considerati coinvolti nelle risposte adattative che l’esercizio fisico è in grado d’indurre nell’organismo umano a livello di differenti sistemi fisiologici. Con il termine epigenetica si intende quella branca della genetica che studia le modificazioni ereditabili e reversibili del DNA, che influenzano l’espressione dei geni ma senza alterarne la sequenza nucleotidica.
Alterazioni epigenetiche nel corso della vita possono avere rilevanza clinica e la loro modulazione attraverso il movimento (oltre che con adeguati stili alimentari e comportamentali) può assumere un ruolo importante nella prevenzione e nel trattamento di malattie cardiovascolari, cancro, disturbi neurofisiologici e sindrome metabolica[9].
Le alterazioni epigenetiche più comuni indotte dall’esercizio fisico sono: le modificazioni a carico degli istoni (metilazione ed acetilazione), la metilazione del DNA e l’espressione di diversi tipi di micro RNAs (miRNAs)[10]. Meccanismi che complessivamente hanno come eventi finali il silenziamento o l’attivazione dell’espressione di geni coinvolti in vari aspetti funzionali dell’organismo (figura 2).
Modificazioni epigenetiche indotte dall’attività fisica regolare possono, inoltre, ridurre l’espressione di citochine pro-infiammatorie, di fondamentale importanza nel trattamento di malattie degenerative legate all’età e nel controllo dell’inflammaging (l’infiammazione cronica di basso grado associata all’invecchiamento)[9].
Anche la modulazione delle sirtuine può rientrare tra i meccanismi regolatori epigenetici attraverso i quali l’attività fisica riesce a promuovere la salute nel corso della vita.
Modificazioni istoniche
Gli istoni sono proteine basiche che costituiscono l’80-90% della componente strutturale della cromatina. Il ruolo fondamentale degli istoni è quello di organizzare il DNA, compattandolo in maniera ordinata affinché possa essere conservato in un volume ristretto (nucleo cellulare).
I cambiamenti più comuni che si osservano a livello istonico sono alterazioni post-traduzionali nelle regioni terminali ricche in residui di lisina, soprattutto degli istoni H3 e H4, promosse da due classi di enzimi chiamati rispettivamente HAT (istone acetiltransferasi) e HDAC (istone deacetilasi).
Si è visto che l’esercizio in generale promuove l’acetilazione degli istoni, consentendo di bilanciare l’attività HAT/HDAC, e questo sembra avere ripercussioni positive su vari aspetti della salute: dalla neuroprotezione, al miglioramento psichico delle funzioni mnemoniche, agli effetti protettivi nei confronti di malattie come l’aterosclerosi.
Inoltre, la modulazione esercizio correlata dell’attività della HDAC regola l’espressione di fattori di trascrizione, quali PGC-1α, coinvolti in numerosi processi di adattamento al lavoro muscolare (termogenesi, biogenesi mitocondriale, metabolismo glico-lipidico, differenziazione delle fibre muscolari in base al tipo di sollecitazione)[9].
Metilazione del DNA
Nel corso dell’invecchiamento il DNA va incontro a processi di de-metilazione[9]. La de-metilazione del DNA età-correlata causa instabilità genomica e conduce nel tempo ad un importante accorciamento dei telomeri[9].
I telomeri sono sequenze nucleotidiche situate all’estremità dei cromosomi, che ne preservano l’integrità e si accorciano ad ogni divisione cellulare[9]. I telomeri sono trascritti per esprimere RNAs non codificanti che regolano la lunghezza del telomero stesso e lo stato della cromatina[9]. La lunghezza dei telomeri rappresenta un riconosciuto indicatore d’invecchiamento biologico nell’uomo, e su tale indicatore gli effetti dell’esercizio fisico sono stati oggetto di numerosi interessi[11].
E’ stato dimostrato come la lunghezza dei telomeri sia positivamente correlata con la quantità di attività fisica svolta, indipendentemente da altri fattori (età, sesso, stile di vita)[11, 12]. La lunghezza dei telomeri cromosomici può variare notevolmente tra soggetti attivi e sedentari; tale variazione è stata quantificata essere nell’ordine di circa 200 nucleotidi e questo si è stimato possa corrispondere a una differenza di circa 10 anni di invecchiamento biologico[12].
La soglia di spesa energetica settimanale di attività fisica per soggetti di età compresa tra 50-70 anni al di sotto della quale si registrano telomeri più corti è stata fissata intorno a 1000 Kcal[11, 13]. I soggetti con una espressione telomerica migliore potrebbero essere quelli con una spesa energetica complessiva tra 1000 e 2300 kcal a settimana di attività fisica[13].
Un simile dispendio energetico è possibile attraverso un programma di esercizio quotidiano, che preveda tempi e intensità adeguate, unito ad uno stile di vita attivo.
Variazione nell’espressione dei miRNAs
I miRNAs sono molecole di RNA non codificante, tessuto specifiche e hanno la tendenza a inibire meccanismi post-traduzionali.
Nel muscolo, ad esempio, l’attivazione dei miRNAs contribuisce alla proliferazione dei miociti, alla differenziazione delle fibre muscolari (tipo I e II) e al loro trofismo, regola pathways metabolici ossidativi e le modificazioni di angiogenesi esercizio-correlate; mentre una loro down-regulation si osserva tipicamente nelle miopatie e nell’inattività[9].
La regolazione dei miRNAs muscolari è sotto il controllo di fattori miogenici di trascrizione quali Myogenina, MyoD, Myf5 e MRF4, a loro volta associati con la prevenzione dell’atrofia e la crescita muscolare[9].
Le classi di miRNAs attivati sono diverse a seconda della tipologia delle fibre muscolari reclutate e quindi della tipologia dell’esercizio svolto (aerobico, anaerobico, misto o forza) e questo deve far ragionare come la specificità della programmazione dell’allenamento e i diversi obiettivi raggiungibili passino anche attraverso una migliore risposta epigenetica a determinati carichi di allenamento.
Attività delle sirtuine
Le sirtuine sono una famiglia di proteine associate alla regolazione del ciclo cellulare e alla sopravvivenza della cellula[9] e la loro diversa espressione è stata messa in correlazione all’invecchiamento dell’organismo[9].
Le sirtuine non solo deacetilano gli istoni e diversi regolatori trascrizionali nel nucleo, ma modulano anche specifiche proteine nel citoplasma e nei mitocondri[9].
Attraverso meccanismi epigenetici, si suppone che l’esercizio fisico regoli l’attività di alcune sirtuine (Sirt1 in particolare) implicate nel regolare importanti molecole segnale, quali PGC-1α, p53, NF-κB che svolgono un ruolo chiave nel metabolismo energetico cellulare e nella trascrizione genica di importanti funzioni legate alla vita della cellula.
Sistema neuro-cognitivo
Diversi studi confermano la relazione tra esercizio fisico ed effetti positivi sulla sfera neuro-cognitiva[14, 15].
Nonostante l’argomento non sia stato ancora adeguatamente approfondito negli anni, sembra che il mantenimento di uno stile di vita attivo nel corso delle decadi possa contribuire a mantenere efficienti i meccanismi neurobiologici alla base della neurogenesi, neuroangiogenesi, sinaptogenesi e della plasticità neuronale[16].
Inoltre, l’associazione di esercizio aerobico e allenamento di forza contribuisce alla prevenzione e al trattamento di patologie di una certa prevalenza, come depressione, demenza e morbo di Parkinson[16]. Molti meccanismi neurobiologici sono coinvolti nel miglioramento delle funzioni cognitive, comportamentali e motorie indotte dall’esercizio fisico.
Studi indicano come l’allenamento possa migliorare il controllo sul rilascio di alcuni neurotrasmettitori (dopamina, norepinefrina, acetilcolina, serotonina), di fattori trofici (BDNF, IGF-1, GNF, NTN, VEGF), dell’attività degli enzimi antiossidanti (SOD, catalasi, glutatione perossidasi) e della produzione di neuromodulatori associati al senso di piacere, come oppioidi ed endocannabinoidi[17-19].
Vi sono ipotesi che associano le malattie neurodegenerative all’incapacità di risposta immunologica nel sistema nervoso centrale. In questo senso, l’esercizio può collaborare positivamente aumentando l’attività dell’ossido nitrico sintasi e la produzione di citochine (IL-6, IL-10)[20].
Questo potrebbe migliorare la risposta immunologica di strutture nervose (come astrociti e microglia) coinvolti nel contrastare gli effetti negativi età-correlati dati dall’accumulo di -amiloide e α-sinucleina[16]: proteine la cui produzione anomala è associata allo sviluppo di diverse malattie neurodegenerative.
Studi su soggetti di varie età hanno infine dimostrato che l’allenamento aerobico (30 minuti al giorno di passeggiata su tapis roulant, al 60% della VO2 max) associato a trattamento farmacologico è più efficace del solo uso di antidepressivi per il trattamento di gravi depressioni[16].
Risultati a lungo termine, fino a un anno di terapia[21, 22] mostrano, inoltre, come associando l’attività fisica ai farmaci si possa ottenere una maggiore remissione dei sintomi e i pazienti riacquisiscano pattern di attività corticale simili a quelli dei loro coetanei sani.
L’allenamento aerobico, così come gli esercizi per la forza, dovrebbero essere pertanto raccomandati come trattamento aggiuntivo per soggetti con grave depressione, quale alternativa sicura e a basso costo per migliorare la capacità cognitiva e ridurre le manifestazioni dei sintomi[16].
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a cura di Massimo Negro – PhD Ambulatorio di Nutrizione Clinica e dello Sport, Centro di Medicina dello Sport Voghera, Università di Pavia
Giuseppe Cerullo – PhD in Scienze delle attività motorie e sportive, Università degli Studi di Napoli
Giorgio Liguori – MD PhD, Centro di Medicina dello Sport Voghera, Università di Pavia
e Giuseppe D’Antona – PhD Direttore Sanitario e della Ricerca Scientifica, Centro di Medicina dello Sport Voghera, Università di Pavia
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