Attività sportiva, invecchiamento, patologie cardiovascolari: una nuova terapia anti-aging

E’ noto fin dai tempi antichi che un corretto stile di vita che prevede un’attività fisica regolare e controllata, unitamente ad una alimentazione adeguata è elisir di lunga vita: “fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”, diceva il vecchio Ippocrate, fondatore della medicina occidentale. Oggi tutto questo ha ormai solide basi scientifiche e le acquisizioni e le evidenze aumentano continuamente. In Italia una persona su tre è in sovrappeso (tenendo come valore di riferimento il BMI> 25) e una persona su dieci è francamente obesa ( BMI > 30). Vedremo come il BMI non sia un criterio univoco per definire il sovrappeso e l’obesità in particolar modo nelle persone anziane, in quanto non tiene conto in maniera adeguata della composizione della massa corporea ma semplicemente del peso e dell’altezza.

In ogni caso questi dati sono molto impattanti sia in termini di salute della popolazione sia in termini di politiche sanitarie di prevenzione da parte del le pubbliche autorità. Ma c’è di più. Il tasso di sovrappeso e obesità aumenta con l’età passando rispettivamente dal 15% al 45% dalla fascia 15-24 anni alla fascia 65-74 anni mentre l’obesità passa dal 4% al 15 % nella medesima fascia di età, con una netta prevalenza del sesso maschile. Il dato nuovo è l’aumento dell’incidenza del sovrappeso e dell’obesità nelle fasce d’età più basse in particolar modo nell’adolescenza e nel sesso maschile. Un dato che dovrebbe far riflettere sulla necessità della prescrizione terapeutica di programmi ad hoc di attività fisica regolare e controllata fin dall’infanzia e dalla adolescenza.

Queste evidenze epidemiologiche hanno fatto sì che le principali società scientifiche di settore attive nell’ambito della prevenzione cardiovascolare e della promozione di corretti stili di vita abbiano stabilito delle vere e proprie “dosi” settimanali di attività fisica aerobica programmata in determinate fasce di popolazione sia in prevenzione primaria (soggetti sani a rischio elevato) che secondaria ( soggetti che hanno già avuto un evento cardiovascolare). La dose di esercizio aerobico raccomandata è di 45’ tre volte la settimana in soggetti sani con raggiungimento della frequenza cardiaca di allenamento tra il 70% e 80% della frequenza teorica massimale per sesso ed età. Un altro aspetto che sta emergendo con sempre maggiore nitidezza è l’effetto di un’attività fisica controllata e programmata in molte patologie cardiovascolari.

Vi sono molte condizioni patologiche che sono ormai diventate epidemiche nella società dei consumi, che richiedono uso di farmaci da assumere a volte per tutta la vita e che impegnano molto le strutture assistenziali. Iniziamo da una delle patologie più diffuse, l’ipertensione arteriosa. E’ noto a tutti che con l’età i vasi arteriosi tendono ad “irrigidirsi” e ad essere meno elastici. Tutto questo porta ad una difficoltà di adattamento delle stesse arterie al flusso sanguigno. I farmaci che si usano in questa patologia hanno sostanzialmente due diversi meccanismi di azione. Da un lato i vasodilatatori aumentano la elasticità delle arterie riducendo quindi la pressione che il sangue esercita sulle loro pareti. Dall’altro un’altra classe di farmaci (sartani, beta-bloccanti) tende a “ridurre la fatica” di spingere il sangue in avanti. Ebbene è ormai dimostrato che una attività fisica costante, controllata e di tipo aerobico è una vera e propria terapia antipertensiva e i benefici si mantengono per molto tempo. Questo vale sia nell’atleta master, nel quale l’attività aerobica può arrivare addirittura a ridurre o eliminare del tutto i farmaci antipertensivi, ma è ancora più importante negli atleti giovani nei quali l’attività fisica costante e controllata può prevenire l’insorgenza di ipertensione severa.

Altra patologia molto diffusa, il diabete mellito. Questa temibile condizione, nuova epidemia come viene definita al giorno d’oggi, può essere tenuta a bada e spesso prevenuta da una corretta e controllata attività fisica. In questo caso il meccanismo è molto intuitivo. Le cellule del paziente diabetico sono resistenti all’insulina (ormone che viene prodotto dal pancreas e che aiuta a far entrare lo zucchero nelle cellule). Lo zucchero in eccesso quindi circola nel sangue e viene escreto nel rene in eccesso. Ma un’eccessiva concentrazione di zucchero comporta molti danni alle strutture vascolari, al rene, al sistema nervoso periferico, ecc. Una corretta attività fisica con l’aumento del consumo di energia sotto forma di carboidrati riduce la concentrazione di zucchero nel sangue con notevole beneficio dei pazienti. Anche in questo caso vi è un’azione preventiva (quando la malattia non è ancora presente) e un’azione curativa (nei pazienti diabetici che svolgono attività fisica). Programmi specifici di attività fisica hanno dimostrato di migliorare il profilo glicemico dei pazienti diabetici sia di tipo 1 (diabete cosidetto giovanile insulino-dipendente) sia nel diabete di tipo 2 (diabete conosciuto come mellito, della popolazione più anziana, con altre malattie associate). Altra patologia diffusa e pericolosa è lo scompenso cardiaco: il cuore non riesce a “pompare” una adeguata quantità di sangue nei vasi periferici, il sangue “ristagna” nel polmone e nelle vene con classico sintomo della dispnea (difficoltà a respirare liberamente), riduzione della tolleranza allo sforzo (mancanza di nutrienti delle cellule che ricevono meno sangue arterioso), edemi (ritenzione e gonfiore dovuti al ristagno di sangue e liquidi).

Tale patologia è conseguenza dell’invecchiamento della popolazione da un lato e del paradosso della migliore cura della cardiopatia ischemica dall’altro, con sopravvivenza di pazienti trattati con terapia moderne ed efficaci (rivascolarizzazione precoce durante eventi acuti). Ebbene anche nello scompenso cardiaco è stato dimostrato il ruolo cruciale tanto della prevenzione quanto di vera e propria terapia dell’attività fisica controllata. Nel primo caso il muscolo cardiaco diventa “più elastico” con l’allenamento, con questo prevenendo le alterazioni cellulari ultrastrutturali e quindi l’insorgenza dello scompenso, dall’altro l’allenamento controllato consente di aumentare il consumo di O (massima 2 quantità di ossigeno al minuto che l’organismo può consumare) che è un parametro allenabile e modificabile ed un potente fattore predittivo prognostico positivo nei pazienti con scompenso. A questo punto sono necessarie alcune precisazioni dal punto di vita nutrizionale. Ogni programma di allenamento, qualunque sia la classe di atleti o sportivi amatoriali (master, giovani adulti, adolescenti) non può prescindere da una corretto regime di alimentazione e di supplementazione adeguata e personalizzata. Atteso che per gliadolescenti è sufficiente una alimentazione variata e sana è invece importante che gli atleti di alta intensità siano correttamente nutriti con tutti i nutrienti necessari. Fondamentali stanno diventando le miscele di AA EE. Si tratta di composti molto ben studiati e validati con importanti studi clinici i quali apportano la quantità precisa (in rapporti stechiometrici studiati ad hoc) di aminoacidi essenziali che non possono essere prodotti da altre vie metaboliche (come avviene per gli AA non EE) e devono quindi obbligatoria mente essere introdotti con l’alimentazione. Vi sono varie formulazioni in commercio ma è importante che vi sia un rapporto stechiometrico tale da consentirne l’assorbimento ottimale, con notevole beneficio sulla prestazione e sul recupero post sforzo oltre che un’adeguata quantità di minerali essenziali nei processi metabolici e nell’attività fisica (zinco, magnesio ecc). Un’ultima annotazione riguarda la supplementazione di AAEE in atleti master e/o pazienti che pratichino programmi di riabilitazione dopo evento cardiovascolare. In questi casi è necessario prevenire la sarcopenia che è quella particolare situazione nella quale il corpo utilizza i muscoli come carburante nello svolgimento delle attività metaboliche invece che i glucidi a pronto utilizzo, con ciò alterando il normale metabolismo.

Negli anziani, anche non atleti, nei quali la dieta squilibrata (per esempio troppo ricca di carboidrati) o determinate condizioni patologiche (malassarbimento, anemia, ecc..) innescano questo insidioso processo una adeguata supplementazione di AA EE ha mostrato miglioramenti significativi sia in termini di parametri clinici che di performance. È la ragione per cui il BMI in questi soggetti dà solo un’indicazione di massima sullo stato fisico: possiamo avere un obeso con sarcopenia se la massa grassa è sbilanciata rispetto alla massa magra e d’altra parte soggetti apparentemente in forma ma con un alterato rapporto tra massa grassa e massa magra. Tale sbilanciamento è spesso frutto proprio della sarcopenia occulta che affligge questi soggetti Insomma invecchiare in salute è non solo possibile ma necessario e oggi vi sono tutti gli strumenti medici, nutrizionali e di allenamento mirato che consentono di raggiungere l’obiettivo.

 

 

Pietro Sicipione, Specialista in Cardiologia e Medicina dello Sport

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