Muscolo, forza, invecchiamento e salute: il muscolo scheletrico nel mantenimento della salute

Elementi strettamente connessi

Oltre al noto ruolo biomeccanico, il muscolo scheletrico rappresenta un “organo” omeostatico fondamentale per il controllo metabolico dell’intero organismo.

 

La massa muscolare scheletrica regola, infatti, il bilancio azotato di organi e tessuti, nonché la disponibilità di aminoacidi e precursori metabolici, fungendone da principale “serbatoio”.

 

Il muscolo scheletrico coopera, inoltre, al mantenimento del bilancio energetico e glicemico generale, attraverso complessi meccanismi di interplay, e rappresenta un fattore critico per il mantenimento dello stato di salute e della qualità di vita dell’individuo[1].

 

In condizioni fisiologiche, in presenza cioè di una dieta equilibrata, eventualmente integrata, e di una vita attiva abbinata a un adeguato programma di esercizio fisico, il mantenimento della massa muscolare permette la conservazione dell’omeostasi proteica corporea totale.

 

Diversamente, situazioni cataboliche protratte (per malnutrizione e/o inattività), maggiormente evidenti in soggetti anziani, portando a perdite progressive e significative di massa muscolare si ripercuotono negativamente sulle capacità adattative dell’individuo (Figura 1).

 

 

La compromissione fisica diventa particolarmente grave in caso di sarcopenia e conseguente fragilità. La fragilità associata alla sarcopenia ha dimostrato di predire il rischio di morte, disabilità e altri esiti avversi, tra cui l’atrofia della massa muscolare e il deterioramento metabolico, oltre a peggiorare le prognosi di guarigione post-chirurgica e a ritardare i recuperi da malattia[2].

 

Fragilità e sarcopenia hanno effetti drammatici sull’omeostasi dell’organismo, poiché il muscolo, oltre a fare da reservoir aminoacido, è sede di produzione e rilascio di un’enorme quantità di miochine ad azione endocrina, fondamentali nel cross-talk che si stabilisce tra i diversi tessuti durante le risposte a infezioni, traumi e malattie[2].

 

L’aumento dell’infiammazione sistemica che normalmente accompagna i quadri di fragilità, specie in pazienti anziani cronici, aggrava poi ulteriormente la perdita di massa muscolare, provocando anche interruzioni del controllo metabolico e neuroendocrino dell’appetito[3].

 

Dati emergenti[4] suggeriscono inoltre, l’esistenza di un asse “muscolo-intestino” capace di mettere in relazione la funzione regolatoria del muscolo scheletrico (miochine), con la struttura e la composizione del microbiota intestinale, fondamentale nelle risposte immunologiche.

 

Se a questo si uniscono le abbondanti evidenze che sottolineano la centralità della sarcopenia nella fisiopatologia di condizioni croniche correlate con il processo d’invecchiamento (ad esempio la broncopneumopatia cronico-ostruttiva), si comprende come l’equilibrio dei soggetti anziani passi attraverso un ottimale trofismo muscolare.

 

Muscolo scheletrico e invecchiamento: la sarcopenia

Il termine sarcopenia, (σάρξ, carne; πενία, perdita) racchiude in sé il concetto di riduzione delle dimensioni muscolari e di deterioramento della funzione tessutale. La sarcopenia conduce in tempi più o meno lunghi a una perdita della massa muscolare, sia per la perdita numerica delle fibre, sia per la riduzione della sezione delle fibre rimanenti [5].

 

 

Il fenomeno interessa tutte le componenti fibrali del muscolo anche se colpisce prevalentemente le fibre di tipo II, responsabili dell’attività contrattile a elevata produzione di forza e reclutate ogni qualvolta sia richiesto un impegno muscolare di tipo esplosivo/anaerobico. Inoltre, con l’età diminuisce anche il numero delle cellule satelliti, responsabili della rigenerazione post-traumatica delle fibre muscolari, e questo contribuisce ulteriormente alla perdita di massa muscolare[6].

 

La perdita di massa muscolare, evidenziabile come diminuzione quantitativa della componente miofibrillare totale, comporta una riduzione della forza assoluta sviluppabile. In altri termini, il muscolo sarcopenico è più piccolo e più debole rispetto a un muscolo normale.

 

Oltre a variazioni di carattere quantitativo, il muscolo sarcopenico va incontro a variazioni qualitative della sua funzione. Con l’invecchiamento, infatti, il muscolo scheletrico subisce processi di denervazione irreversibili[7] a causa di una riduzione del numero dei motoneuroni spinali[5].

 

I fenomeni di denervazione interessano soprattutto le fibre nervose a scossa rapida (Fast Twitch, FT) che innervano le fibre muscolari di tipo II.

 

Per cercare di limitare il fenomeno, l’organismo mette in atto processi di “re-innervazione” che normalmente coinvolgono fibre nervose a scossa lenta (Slow Twitch, ST) adiacenti a quelle FT andate perse. Ciò, se da un lato rallenta l’atrofia muscolare correlata alla denervazione, dall’altro modifica i pattern muscolari di contrazione, portando le fibre muscolari di tipo II-reinnervate verso profili funzionali ST[8].

 

Le unità motorie “rimodellate” producono, quindi, meno forza rispetto a quelle originarie, con minor efficienza, precisione e potenza di movimento[5, 7].

 

Le origini della sarcopenia sono multifattoriali[9] (Figura 2) e includono:

  1. 1) l’inattività, per riduzione della mobilità spontanea quotidiana;
  2. 2) la mancanza di allenamento contro resistenza, che facilita il catabolismo proteico, riduce la capacità di reclutamento muscolare specifica (tipo II) e promuove i fenomeni di denervazione descritti, conducendo i soggetti a un più rapido declino delle abilità motorie;
  3. 3) alcune alterazioni endocrine, soprattutto a carico di insulina, testosterone e IGF-1;
  4. 4) l’aumento dell’infiammazione, per maggiore produzione età-correlata di citochine pro-infiammatorie, ad esempio TNF-a e IL-1, che interferiscono con la sintesi proteica;
  5. 5) le carenze nutrizionali, in particolare di proteine, EAA/BCAA e vitamina D.

 

Effetti dell’invecchiamento muscolare e della sarcopenia

Nei soggetti anziani non allenati il declino della prestazione muscolare è particolarmente evidente con conseguenze che interessano l’autonomia funzionale motoria e il metabolismo di altri tessuti. La forza diminuisce di circa il 40% passando dai 30 agli 80 anni[10], fino a dimezzarsi negli ultranovantenni [11], e questo è stato correlato direttamente con la perdita della massa muscolare[10, 11].

 

La perdita di forza interessa sia i grossi gruppi muscolari, sia i muscoli distali degli arti[12, 13], influenzando negativamente la capacità deambulatoria e la velocità del passo [10], riducendo l’abilità di effettuare movimenti e gesti tipici dell’attività quotidiana: salire e scendere le scale, sollevare oggetti, alzarsi dalla sedia[14].

 

Viene meno anche la capacità di reazione muscolare ed il controllo motorio, con aumento del rischio di cadute per instabilità posturale[7].

 

La diminuzione di forza è quindi causa di disabilità che nelle forme più gravi necessita di assistenza ed è stata associata anche ad un più elevato rischio di mortalità[15]. In correlazione alla sarcopenia, è stato, inoltre dimostrato che la perdita di potenza anaerobica (watt/Kg peso) decade al ritmo di 1% all’anno e a 70 anni è circa il 50% in meno rispetto ad un giovane di 20 anni[16].

 

La sarcopenia contribuisce poi ad abbassare il dispendio energetico a riposo e la sensibilità periferica all’insulina, facilitando l’accumulo di grasso sottocutaneo e viscerale[10]. La sarcopenia condiziona in misura importante anche l’invecchiamento dell’osso, favorendo l’insorgenza dell’osteoporosi in età senile[5].

 

La perdita della massa muscolare e della forza di contrazione riducono, infatti, il carico meccanico sullo scheletro, fondamentale per stimolare l’attività metabolica del tessuto minerale.

 

La diminuzione della massa muscolare nell’anziano si ripercuote, infine, anche sulla termoregolazione, rendendo i soggetti meno capaci di adattarsi variazioni della temperatura ambientale[17].

 

 

Sarcopenia ed esercizio di forza: aspetti generali

L’allenamento di forza è l’unico in grado di contrastare efficacemente la perdita di massa muscolare, agendo specificamente sulle fibre muscolari di tipo II e producendo risposte anaboliche di adattamento non ottenibili con gli allenamenti aerobici[5].

 

Diversamente dal lavoro di endurance, gli esercizi muscolari di forza inducono ipertrofia, aumentando forza e potenza contrattile[18-19] e stimolano, inoltre, la capacità neuro-motoria specifica di reclutamento delle fibre muscolari di tipo II, consentendo sia un miglioramento dell’output muscolare di forza, sia d’intervenire positivamente nel rallentare i fenomeni di denervazione descritti[10].

 

Gli allenamenti di forza negli anziani possono essere eseguiti in totale sicurezza se ben programmati ed è stato dimostrato che attraverso stimoli di appropriata intensità si possono produrre guadagni di massa muscolare e di forza comparabili con quelli ottenibili negli individui più giovani[20, 21].

 

Condizionare l’espressione di forza negli anziani attraverso esercizi e metodologie specifiche ne consente poi l’utilizzo funzionale in varie attività che la richiedono (deambulazione, velocità del passo, spostamento di carichi, eccetera)[5].

 

Programmi di allenamento con i pesi riducono di oltre il 30% il rischio di cadute, come dimostrato in studi a lungo termine (2 anni)[18], modificando significativamente uno degli aspetti che caratterizza maggiormente il quadro di fragilità dell’anziano.

 

 

Sarcopenia ed esercizio di forza: meccanismi cellulari e molecolari

Studi recenti hanno messo in luce come lo svolgimento a lungo termine di programmi con esercizi contro resistenza sia capace di modulare importanti meccanismi cellulari e molecolari, basilari per la conservazione della funzionalità muscolare, che con l’invecchiamento diventano sempre meno efficienti.

 

Tre sono i processi principalmente coinvolti: autofagia, apoptosi e controllo sul sistema IGF-1/Akt/mTOR.

 

Ripristino dell’autofagia cellulare

 

L’autofagia gioca un ruolo importante nei meccanismi cellulari di crescita e sviluppo: è un processo che la cellula utilizza per “autorinnovarsi”, controllando sia la biogenesi e il ricambio degli organuli citoplasmatici, sia il bilancio tra sintesi e degradazione delle proteine endocellulari[22].

 

A livello muscolare i meccanismi autofagici concorrono a garantire l’integrità della struttura morfo-funzionale della fibra, consentendogli di adattarsi efficacemente agli stimoli ambientali[22].

 

Il declino del potenziale autofagico cellulare con l’invecchiamento è stato recentemente dimostrato sia nell’animale sia nell’uomo[23-26], con ripercussioni sui processi di degradazione proteica muscolare.

 

L’esercizio cronico di forza sembra rallentare questo declino, ripristinando in parte l’equilibrio tra sintesi e catabolismo proteico[27].

 

 

Inibizione dell’apoptosi muscolare

 

L’apoptosi (morte cellulare programmata) rappresenta un processo chiave nei fenomeni d’invecchiamento e sarcopenia[28, 29].

 

L’apoptosi è mediata dai mitocondri che con l’età aumentano la loro suscettibilità verso molecole pro-apoptotiche (per esempio le specie reattive dell’ossigeno)[29].

 

L’esercizio cronico di forza ha dimostrato d’inibire l’apoptosi muscolare, facendo registrare un abbassamento dei livelli cellulari di fattori utilizzati come marker d’attivazione apoptotica (il citocromo c e la caspase 3 attivata)[28, 29].

 

Modulazione del sistema di segnali IGF-1/Akt/mTOR

 

A livello muscolare la sintesi proteica è regolata da un complesso sistema biomolecolare di proteine regolatorie: il sistema IGF-1/Akt/mTOR[30, 31].  Tale sistema è, inoltre, in stretta relazione con i fenomeni di autofagia descritti[22].

 

L’IGF-1 stimola l’attivazione di fattori miogenici coinvolti nei meccanismi di attivazione e proliferazione delle cellule satelliti; inoltre, inibisce i fenomeni di degradazione proteica agendo sul sistema ubiquitina-proteosoma.

 

Akt ed mTOR sono invece due proteine fosforilanti (chinasi) che stimolano la sintesi proteica[32, 33].

 

Sull’uomo gli effetti cronici dell’esercizio fisico di forza sul sistema IGF-1/Akt/ mTOR non sono ancora completamente noti, mentre recenti indagini nel ratto (dopo nove settimane di allenamento) offrono dati incoraggianti, indicando una modulazione positiva del sistema IGF-1/Akt/mTOR con interessanti ripercussioni sui fenomeni di autofagia, rinnovamento cellulare e sintesi proteica[27].

 

 

Conclusioni

 

L’importanza di mantenere l’integrità morfo-funzionale del muscolo scheletrico nel corso dell’invecchiamento, evitando o ritardando lo sviluppo della sarcopenia, è fondamentale, sia per conservare la salute, sia per avere a disposizione un sufficiente “bacino” aminoacidico da impiegare durante eventuali decorsi di malattia acuta (infezioni, traumi, eccetera) o cronica (cardiopatie, broncopneumopatie, obesità sarcopenica, diabete, eccetera).

 

Se con l’invecchiamento si assiste a una perdita significativa di tessuto muscolare, in presenza di malattie la relazione “ipotrofia muscolare-patologia” può avere sviluppi clinici particolarmente infausti.

 

Questo può comportare, infatti, drammatici cambiamenti morfologici e disfunzionali nel muscolo scheletrico (atrofia), patologia-correlati, aggravando nel complesso il quadro della disabilità fisica indotto dalla patologia stessa.

 

Una spirale di caduta “verso il basso” che nei casi più gravi e cronici può portare a quadri di cachessia.

 

Possedere, dunque, un buon patrimonio muscolare nel corso dell’invecchiamento, oltre ad essere un fattore chiave per la preservazione funzionale e la prevenzione di malattia, rappresenta l’elemento fisiologico imprescindibile per un miglior management nei programmi di recupero metabolico di soggetti che presentano comorbidità croniche, elevando enormemente la loro qualità di vita.

 

 

Bibliografia

 

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32Schiaffino S, Mammucari C. Regulation of skeletal muscle growth by the IGF1-Akt/PKB pathway: insights from genetic models. Skelet Muscle 2011; 1:4.

 

33Oldham S, Hafen E. Insulin/IGF and target of rapamycin signaling: a TOR de force in growth control. Trends Cell Biol 2003; 13:79-85.

 

 

 

a cura di Massimo Negro – PhD Ambulatorio di Nutrizione Clinica e dello Sport, Centro di Medicina dello Sport Voghera, Università di Pavia

 

Giuseppe Cerullo – PhD in Scienze delle attività motorie e sportive, Università degli Studi di Napoli

 

e Giuseppe D’Antona – PhD Direttore Sanitario e della Ricerca Scientifica, Centro di Medicina dello Sport Voghera, Università di Pavia

 

 

 

 

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