Il riordino e la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionali e dilettantistici, prevista dalla legge n. 36/2021, ben caratterizza il salto di qualità che lo Stato ha compiuto verso la valorizzazione dell’attività fisica come presidio sia terapeutico, ma specialmente come prevenzione di molte malattie che incidono in costi sempre maggiori per il SSN. Ci soffermeremo su due delle figure professionali che vengono coinvolte dalla legge, una in forma indiretta (il medico) e la seconda più specificamente individuata dall’articolo 42 (il Personal Trainer).
Il rapporto medico-paziente è il cuore di tutti i processi clinici che possiamo dire articolato grossolanamente nei tre momenti di anamnesi, diagnosi e terapia. Fino ad alcuni decenni fa appariva scarso l’interesse per le dinamiche relazionali in medicina, poiché non vi era di fatto alcun margine, per il malato, di mettere in discussione le decisioni prese dal curante, né di partecipare attivamente al proprio percorso terapeutico. Oggi, tramite il web e una maggiore presa di coscienza, la situazione è del tutto ribaltata: il paziente possiede una centralità decisionale pressocché assoluta e alla figura del medico, non in regime di emergenza, sono state tolte le decisioni autonome senza il consenso del proprio assistito.
Alcuni studiosi dei vari sistemi sanitari sono giunti a dire che il medico sta gradualmente perdendo quella autorità morale che ne ha caratterizzato la professione dai tempi di Ippocrate di Cos, nel IV secolo a.C. E’ chiaro che definire con precisione cosa sia questa presunta “autorità morale” del medico non è semplice perché si sconfi na nella filosofia e nella storia delle discipline sanitarie. La riflessione prende vita da un semplicissimo rilievo: il paziente, rispetto al medico, a causa della malattia diventa un soggetto “fragile” e proprio questa fragilità lo spinge ad affidarsi a professionisti che dovrebbero avere il bagaglio culturale necessario a prendere metaforicamente per mano il malato, guidandolo fuori dalla sua sofferenza. Il lungo periodo del Covid che ci sta accompagnando ha minato non poco il rapporto tra il cittadino e la sanità pubblica, anche in virtù del fatto che una tribù di esperti, o pseudo tali, si è riversata in televisione fomentando la critica che nella classe medica vi sia un atteggiamento paternalistico nei confronti dei pazienti e quindi interpretandolo come una limitazione aperta nei confronti della loro libertà.
Si è quindi fatta strada l’idea di una “alleanza terapeutica” fra medico e malato: suggestiva e seducente, perché fornisce l’immagine di due soggetti che, forti di un patto paritario, si pongono come una realtà unitaria nella lotta contro la malattia. Non bisogna però dimenticare che comunque il paziente resta un soggetto la cui integrità, per sua stessa definizione, è destabilizzata dalla malattia. Quindi si può finalisticamente pensare che questa alleanza possa sia non partire sia affi evolirsi progressivamente perché viene meno la fi ducia reciproca, pesantemente compromessa da interferenze esterne.
Ma l’art. 32 della Costituzione ci riporta con i piedi per terra, conferendo alla salute la qualifica di “bene” in senso giuridico. In questo percorso costituzionale la salute non è solamente assenza di malattia ma un coacervo di situazioni positive che investono il corpo, la mente e la posizione sociale ed economica. Ecco perché è importante la stretta relazione tra due professionisti quali sono il medico e il Personal Trainer, perché la finalità sostanzialmente è la stessa: fornire un servizio che garantisca al cliente beneficio e svolga altresì l’importante funzione della prevenzione delle malattie. ISSA Europe ha sempre enfatizzato la necessità di collaborazione tra professionisti di diverse discipline e il rispetto reciproco delle proprie competenze.
Banalmente, se il Personal Trainer viene coinvolto in un percorso di dimagramento importante, la figura del nutrizionista, sia esso biologo o dietista, deve collaborare attivamente con chi svolge l’attività in palestra, ricordando però che in ogni caso la diagnosi iniziale, che implicherà successivamente l’intervento di altri professionisti, spetta al medico e che eventuali esami diagnostici per poter continuare o modificare un dieta impostata sono richiesti solamente dal medico curante e quindi concordati con lo stesso. Ciò che crea perplessità è come ancora attualmente il corso di laurea in medicina sia fortemente carente nelle nozioni di chinesiologia e come e di quanto l’attività fisica possa essere finalizzata al miglioramento del benessere del cittadino.
È diventata ormai un cult l’indicazione che per la scoliosi dell’adolescente il nuoto è lo sport per eccellenza: siamo nel 2022 ma tale approccio non è stato completamente abolito, creando imbarazzo in chi si prende carico del cliente in un centro fitness. È quindi un problema di “competenza”, ovvero di nuove capacità professionali che si aggiornano sulle innovazioni tecnologiche più recenti. Ciò che vale per il medico vale ovviamente per il Personal Trainer. Infatti nel famoso art. 42, già citato, oltre al chinesiologo viene individuato anche l’istruttore di SPECIFICA DISCIPLINA, riconosciuto a cascata dal C.O.N.I. e dal C.I.P.
Significa quindi che il nostro professionista abbia conoscenze e competenze riguardo la funzionalità del corpo umano, sotto il profilo motorio, nutrizionale e di fatto conosca gli organi che lo compongono e che intervengono nello stress benefi co causato dall’attività fisica. Questa competenza specifica si rafforza nel momento in cui il personal si rivolge al professionista medico condividendo con lui la propria esperienza lavorativa e più specificamente le problematiche che possono insorgere durante il cammino di un allenamento. Ricordiamoci infatti che non esiste un allenamento uguale per tutti, bensì esiste “l’allenamento” specifico per quella persona dopo averne valutato la morfologia, il fit-check e i desideri della stessa. Desideri, come si è detto spesso, che non devono comprendere i capricci del cliente, o peggio promesse di risultati eccezionali quando gli stessi sono talvolta irraggiungibili. Insomma, tra professionisti deve necessariamente esservi professionalità legata alle proprie conoscenze e rispetto verso lo stato altrui. Concretamente, un rapporto che possiamo semplicemente definire come: collaborazione e rispetto. Ci vuole così tanto?
Silvano Busin, Direttore scientifico ISSA Europe