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Intelligenza e Fisicità: un binomio non un contrasto

“Stavo bighellonando fra le vacue idee di un tiepido pomeriggio settembrino, alla ricerca di un argomento atto a soddisfare la richiesta di un articolo avanzatami dall’amico presidente per i lettori di “fitness & sport”

 

Mi aggiravo lento pede fra le pigre idee di questo fi ne vacanze e, contemporaneamente, scorrevo le pagine del Corriere della Sera. Stavo per rinunciare quando, ecco un articolo di Edoardo Boncinelli con un titolo molto accattivante: “Perché i 50enni diventano sempre più intelligenti”. Da fedele lettore di libri e articoli di questo Autore, una delle menti più acute delle Scienze Biologiche nazionali, mi sono immerso nella lettura riandando con la memoria verso la notte dei tempi quando, da neofita della ricerca biomedica avvicinai l’allora giovane e già brillante Maestro in quel di Firenze.

 

L’articolo in oggetto prende in esame uno studio dell’International Institute for Applied Systems Analysis; le conclusioni di questo esame erano: gli ultracinquantenni attuali, testati con test cognitivi identici, presentano risultati più intelligenti di quelli dei pari età testati alcuni anni addietro! Perciò i cinquantenni tenderebbero  a diventare più intelligenti con il passare del tempo mentre, una contemporanea osservazione e analisi di parametri riferiti alla salute fi sica mostra, negli stessi soggetti, un declinare della stessa. La mia esperienza personale, maturata nel prolungato contatto (ultraventennale) con i Personal Trainers di ISSA Europe tenderebbe a dimostrarmi il contrario, almeno per questa seconda parte; cioè, almeno nella mia esperienza, all’incremento di intelligenza si accompagna quasi sempre, anche un miglioramento di salute determinato dalla collegata adozione di un parallelo life style. Arrivato quindi alla domanda ipotetica dell’articolo: “Cosa c’entra la mente con il corpo?” ho ritenuto utile disporre i parametri intelligenza e salute all’interno di un ragionamento basato sullo “stile di vita”, che è la guida a monte di ogni buon allenamento. Lo ripeterò da un mio libretto (“Energia per il lavoro e l’attività fi sica”, MGA ed. scient.) degli anni ’90 che nell’introduzione recita: “fra i tanti stimoli che l’organismo umano riceve e non sempre riconosce, quelli da movimento sono certamente i più frequenti. L’enorme possibilità di variazione e di graduazione del movimento è capace a provocare adattamenti sempre nuovi”.

 

Sono stati proprio questi innumerevoli adattamenti, compiuti nell’arco di milioni di anni, che hanno determinato larghissima parte della storia evolutiva della nostra specie mediante un allenamento durato oltre 7 milioni di anni. Il passaggio da Australopiteco (7,5 milioni di anni addietro) a Homo abilis (3 milioni di anni fa) e poi a Homo erectus (poco più di avantieri: 1,5 milioni di anni da noi) sono le chiavi dello sviluppo umano quale ora lo conosciamo (Figg.: 1, 2, 3 e 4). Proprio in queste ultime ore si è aggiunto l’Homo Naledi la cui caratteristica distintiva sembra essere la piccolezza del cervello. Tutti questi passaggi vedono una unica traccia di collegamento nel “moto” dettato dalle necessità di sopravvivenza. I maggiori stimoli e i più numerosi provennero da “mani” (lavoro) e “piedi” (movimento ambulatorio) e furono i maggiori stimolatori delle “reti neurali” che, essi stessi, contribuirono a sviluppare e che impararono a riconoscere lo stimolo e a affinarlo. Questo ricordo di stampa si ricollega, naturalmente con l’incremento, notato negli ultimi decenni, del numero di ultraquarantenni e cinquantenni che si sono avvicinati al mondo dell’attività fisica correttamente praticata e diretta (vedansi Personal Trainers). Verrebbe spontaneo collegare subito le due cose e rivendicare quindi l’incremento di intelligenza rimarcato dai Ricercatori statunitensi. Questo però potrebbe rivelarsi troppo semplicistico in un rapporto così diretto.

 

Perciò preferisco lasciare la parola a uno dei più validi rappresentanti fra i professionisti dell’allenamento personalizzato: Stefano Zambelli che, nei sottotitoli di un suo ultimo articolo (“Invecchio, ma non mollo”) raccoglie, praticamente, i contenuti dello stesso:

 

“….personalizzando allenamento, alimentazione, integrazione e stile di vita….”.

 

Intelligienza-e-fisicità-un-binomio-pag17

Che dire di più oltre questa riaffermazione, totalizzante e sintetica, di quello che le nostre due Scuole, incontratesi proprio a causa di questa sintesi, vanno ripetendo da anni. Riferendo tutto questo ai risultati dell’indagine di apertura è necessario segnalare un dato, che l’aridità della statistica trascura: ogni mancato arretramento prestativo, dopo i 50 anni, è da considerarsi come “incremento prestativo” in assoluto! Infatti la ricchezza di segnali che l’allenamento al movimento invia sulle “reti neurali” concorrerà, in positivo, all’incremento di intelligenza riscontrato dai ricercatori.

 

Arricchimento in una generazione, quella degli attuali ultracinquantenni, che è stata la prima a strutturarsi culturalmente come ricevitrice della molteplicità di segnali informatici – in tutte le loro forme – attraverso gli strumenti (Personal computer,Tablet, Smartphone ecc.) che nelle generazioni a seguire sono stati e vengono recepiti come normale costume di vita.

Le varie e sempre rinnovantesi applicazioni (app) a seguire hanno arricchito i percettori di milioni di segnali, sconosciuti alla mia generazione (se non casualmente e superficialmente) influenzando la loro “rete neurale” e arricchendola, quasi passivamente,come ricevitore.

Come è avvenuto nel corso dei milioni di anni della nostra evoluzione l’attività fisica deve affiancare, in parallelo, l’evoluzione neurologica, favorendo veri e propri “adattamenti” fisici che risultino positivi rispetto alle necessità del vivere quotidiano in un mondo sempre più complesso. E’ da tenere ben presente che questa complessità richiede, nelle valutazioni, una scientificità assoluta ed è appunto su queste basi che mi permetto di ricordare che il dato assoluto della longevità, in aumento in tutto il mondo sviluppato, cozza contro il supposto aumento della mobilità negli ultracinquantenni in generale. Siamo coscienti del nostro essere abbastanza bravi e, pertanto, poco disposti ad ammettere un aumento di questa ultima in un mondo di praticanti l’attività fisica in modo corretto; soltanto questo conosciamo e difendiamo. Tanto più questa affermazione risulterà credibile quanto più intelligenti saranno i percettori dei nostri insegnamenti.

 

Altrimenti saremmo costretti a mettere in dubbio l’intera analisi o, per contrasto, l’intero mondo dell’attività fisica, anche di quella della quale abbiamo dimostrato scientificamente i risultati biologicamente positivi, unitamente a quelli di gara e relative classifiche nazionali e internazionali.

 

Giuseppe Montanari
MD (già Docente Università degli Studi di Chieti)

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