Il processo di domesticazione di specie animali e vegetali è una tra le numerose forme di simbiosi (dal greco: vivere assieme), il fenomeno attraverso il quale due specie diverse evolvono strategie o adattamenti che consentono ad entrambe di intrattenere un rapporto che porta vantaggi a tutte e due: notissima è la simbiosi tra pesci pagliaccio e anemoni di mare, rapporto nel quale il pesce ottiene protezione dall’invertebrato e il secondo riceve in cambio cibo (che il pesce porta all’anemone). L’addomesticamento di organismi viventi è una forma di simbiosi praticata da diverse specie, tra le quali possiamo citare alcune specie di formiche, ma soprattutto dalla nostra specie, che proprio attraverso la domesticazione ha compiuto quel “salto ecologico” che la ha portata all’esplosione demografi ca dei tempi moderni e alla colonizzazione massiva di tutto il pianeta. Ma come possiamo definire la domesticazione? Secondo l’ecologo Jared Diamond è definibile come il cambiamento di nicchia ecologica di una specie, (animale, vegetale, ma anche funghi e alcuni microrganismi sono coinvolti), che si è adattata a vivere a contatto con la nostra specie: dopotutto la stessa radice del termine domestico arriva dal latino “domus”, cioè casa. In buona sostanza una specie che intraprende un cammino di domesticazione deve anzitutto “imparare” a convivere con l’essere umano, a sopravvivere negli spazi che questi le mette a disposizione, a nutrirsi dei cibi che l’uomo è in grado di fornirle e, soprattutto, deve riuscire a riprodursi nel contesto umano che può essere anche radicalmente diverso da quello originario; per alcune specie questo cammino è stato semplice e oggi queste specie contano centinaia di varietà domestiche, in alcuni casi, la specie selvatica originaria si è addirittura estinta (pecore, capre, polli, cani, vacche, mais, frumento, fagioli…), per altre specie, questo percorso è impossibile a realizzarsi. Per chiarire meglio il concetto, possiamo pensare a due specie ben conosciute, entrambe usate dagli esseri umani, ma dal cammino opposto: cavallo e elefante indiano. Cavalli ed elefanti sono stati usati (e in alcuni luoghi sono usati tuttora) come forza motrice: entrambe le specie possono essere addestrate, processo che è radicalmente diverso dall’addomesticazione, ma solo il cavallo è stato addomesticato. Questo perché solo il cavallo è in grado di svolgere l’intero ciclo vitale in un habitat umano, arrivando a riprodursi: l’elefante ha anzitutto tempi di crescita e maturazione che sono troppo lunghi perché sia economicamente conveniente allevarlo e riprodurlo in cattività (qualcosa che fanno solo gli zoo, che non hanno però la finalità di far lavorare gli animali, solo di esporli). Nessun allevatore di elefanti avrebbe potuto sostenere i costi di una produzione di elefantini, che possono impiegare fi no a dieci anni per diventare abbastanza grossi e forti da essere usati come bulldozer: per questo gli elefanti da lavoro in India e in Asia sono sempre stati catturati e addestrati da adulti, senza mai essere stati davvero addomesticati, questo ha impedito qualsiasi modificazione dovuta a una selezione umana sugli elefanti, cosa che è alla base della domesticazione del cavallo, e di tutte le altre specie modificate dall’uomo. Perché addomesticare un animale o una pianta significa anzitutto interferire con il processo di selezione naturale, che letteralmente “vaglia” ogni nuova generazione: su cento nuovi individui prodotti dalla ricombinazione genetica derivante dalla riproduzione sessuale, la selezione naturale “decide” quali saranno i pochi cui sarà permesso di diventare adulti, di riprodursi; solitamente si tratta dei più funzionali alle condizioni ambientali, i più resistenti alle malattie, i più abili a procurarsi il cibo. Nel processo di domesticazione, la forza selettiva non è più soltanto la selezione naturale, ad essa si affianca l’uomo, colui che fornisce cibo, riparo e protezione agli individui che alleva o coltiva, e dai quali si aspetta naturalmente qualcosa in cambio: ecco che a sopravvivere e a giungere alla riproduzione non saranno necessariamente i più veloci o i più reattivi, e nemmeno i più abili a procurarsi il cibo: anzi, individui molto timorosi o troppo “selvaggi” sono solo una seccatura per l’allevatore, che prediligerà soggetti più docili, meno spaventati, e soprattutto in grado di svilupparsi in fretta. In questo modo, nel corso degli ultimi quindicimila anni, la nostra specie ha letteralmente plasmato animali e piante domestiche che usiamo per nutrirci, per produrre vestiti, per sfruttarne la forza muscolare, per viaggiare, per svolgere ogni sorta di lavori: dall’uro abbiamo ottenuto le docili vacche, dal cinghiale i maiali, dai lupi i cani, e centinaia di altre specie animali e vegetali che abbiamo modificato attraverso la selezione genetica che abbiamo svolto a partire dal Neolitico fino ad oggi, con metodi sempre più raffinati. Ma quali sono le principali alterazioni che, in linea di massima, abbiamo imposto a tutte le specie animali che abbiamo addomesticato? Di base sono sempre le stesse, che si tratti di pesci rossi, di api, di cavalli o di cani:

1- Abbiamo ridotto la quantità di spazio a disposizione, di cui gli individui avevano bisogno per vivere (un lupo selvatico ha a disposizione più di 50 km di territorio su cui cerca cibo in natura, un cane si accontenta di un bilocale senza giardino).

2- Abbiamo cambiato la quantità e la tipologia di alimenti cui la specie aveva accesso per svolgere il suo ciclo vitale, in favore di cibi facili da reperire e più economici (un lupo è un carnivoro che può nutrirsi occasionalmente di carboidrati, un cane è un onnivoro che si è adattato a nutrirsi di cereali, latticini e carne).

3-Abbiamo rimosso i predatori e i competitori della specie (un puledro di zebra deve essere in grado di alzarsi sulle zampe e stare al passo con la mandria a un’ora dalla nascita, chi non riesce a correre è condannato. Un puledro di cavallo domestico può crescere protetto nel suo paddock, al riparo dai predatori).

4- Abbiamo controllato la riproduzione attraverso la scelta dei riproduttori (nel branco di lupi, solo la coppia dominante si guadagna il privilegio di produrre una cucciolata l’anno: la femmina alfa e il maschio alfa sono i capibranco, hanno combattuto per guadagnarsi il diritto alla riproduzione e sono gli unici ad accoppiarsi e riprodursi, il resto del branco coopera per far sopravvivere i cuccioli. Nel cane è il proprietario a decidere quale maschio produrrà cuccioli con una data femmina, e il criterio di scelta raramente ha a che fare con la qualità complessiva dell’animale, più spesso è basato su criteri estetici).

5- Abbiamo interferito con la selezione naturale attraverso la medicina e la cura delle malattie (animali selvatici che si ammalano o che si feriscono gravemente possono contare esclusivamente sul proprio sistema immunitario per salvarsi. Gli animali domestici solitamente vengono curati, e in ogni caso ricevono comunque del cibo anche quando sono feriti o non in grado di procurarsene autonomamente). Molto bene.

Ora vi chiedo un piccolo esercizio mentale, prima di procedere con la lettura: provate a rileggere i cinque punti che avete appena letto e provare a pensare se in qualche modo non valgano anche per la nostra specie. Negli ultimi quindicimila anni, Homo sapiens è passato da una modalità di vita basata sulla caccia e sulla raccolta alla produzione di cibo e ad una vita basata sulla sedentarietà e sulla difesa di possedimenti fondiari stabili: si può dire che proprio attraverso la domesticazione di cereali, ortaggi e animali, la nostra specie è l’unica ad avere addomesticato se stessa! Se analizziamo brevemente tutti i cambiamenti sociali che la cosiddetta Rivoluzione Agricola (15.000 anni fa) ha portato alle comunità umane, e che più avanti la Rivoluzione Industriale (1850) e da ultima la Rivoluzione Tecnologica (1980) hanno ulteriormente modificato, possiamo ritrovare molti degli spunti che valgono per le altre specie domestiche.

1- Minori spazi a disposizione e minore necessità di movimento: un cacciatore-raccoglitore del Neolitico per procurarsi il cibo si spostava per parecchi chilometri ogni giorno, oggi possiamo lavorare comodamente dal divano di casa, se non abbiamo voglia di cucinare, il cibo ci viene recapitato a casa già cotto.

2- Alterazione dei nutrienti e della scansione dei pasti: uomini pre-agricoli si nutrivano di cereali solo quando queste piante fruttificavano, considerato che raccoglierle era oneroso e non esistevano insediamenti stabili per conservarle. Con la domesticazione dei cereali, questi ultimi diventano la principale fonte di energia per le popolazioni umane, assieme ai latticini. Gli umani evolvono vie metaboliche per estrarre energie dai carboidrati e per digerire i latticini (persistenza degli enzimi della galattosidasi in età adulta). Inoltre, con l’invenzione dell’illuminazione domestica e della società dei consumi, oggi mangiamo e dormiamo in modo del tutto avulso dai ritmi circadiani, le nostre notti sono molto più corte e le nostre giornate lavorative di molto più lunghe di quelle di qualsiasi altra specie vivente.

3 e 5- Eliminazione o riduzione degli effetti della selezione naturale, attraverso l’eliminazione dei predatori (sì, noi umani eravamo prede di grossi carnivori, e in alcune zone del mondo questo pericolo continua ad essere presente, anche se abbiamo praticamente eliminato da buona parte del pianeta ogni specie che minacci noi o il nostro bestiame: tigri, leoni, leopardi, coccodrilli, giaguari e altri magnifici carnivori hanno perso molti dei loro territori a seguito della nostra espansione). Attraverso la medicina curiamo buona parte delle nostre malattie, la chirurgia ci permette di sopravvivere a patologie che avrebbero ucciso i nostri antenati, e correggiamo perfino problemi genetici e malformazioni. Chi è sovrappeso, chi non è in grado di correre, chi non saprebbe trovare riparo su un albero, oggi non soffre di grandi svantaggi rispetto ad un individuo in grado di fare tutte queste cose.

4- Infine, in parte, anche la scelta sessuale e la riproduzione è oggi largamente svincolata dalla capacità di sopravvivere e procurarsi il cibo, scegliamo i nostri partner sulla base di criteri sociali, estetici, spesso anche economici: per quanto la scelta sia operata talvolta sulla base di indicatori (sovente discutibili) correlati ad un concetto generico di “successo sociale”, che in una specie come la nostra e in molti altri primati potrebbe essere un criterio valido di buone capacità di sopravvivenza nel mondo attuale, questa è una evidenza piuttosto debole e non è affatto chiaro se rispecchi comunque le scelte socio-sessuali della maggioranza della popolazione.

Per molti sociobiologi, semplicemente, la specie umana si è auto-addomesticata. Che questo sia automaticamente un male è tutto da vedere: dopotutto le specie domestiche pagano, spesso con milioni di vite, un successo spaventoso: la specie di uccello più diffusa su tutto il pianeta è il pollo domestico, presente in ogni continente con miliardi di individui. Il vantaggio per la specie è evidente, non è mai esistita una specie di uccello così diffusa e con un tale numero di effettivi: per l’individuo, tuttavia, questo successo si paga, molto spesso con una esistenza miserevole in un allevamento intensivo, e con una morte precoce per essere trasformato in petto di pollo. E per la nostra specie? Obesità, malattie del progresso, alienazione sociale e dipendenza da devices elettronici per lenire le nostre necessità etologiche, depressione e patologie connesse alla alterazione dei nostri parametri sociali, abuso di sostanze psicotrope e alcol, cattive condizioni di vita e invecchiamento patologico, con vaste fasce di popolazione che accumulano patologie senili connesse a stili di vita poco compatibili con le esigenze della nostra specie: l’elenco potrebbe proseguire a lungo. Essere consapevoli di appartenere ad una specie ormai domestica è il primo passo per decidere cosa fare di questa nostra domesticità. E come ridurre gli effetti negativi che questa nostra condizione comporta.



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