Fumare: cui prodest?
direbbe l’incomparabile Gene Gnocchi; eppure basta recarsi in una qualsiasi riunione di lavoro, assemblea sindacale, guardarsi in giro, per vedere che le sigarette sono elemento costante (di disturbo n.d.r.). Lo stupore che ci colpisce e che nonostante la puntuale informazione scientifica, gli articoli divulgativi, le indicazioni televisive sui danni del tabacco, l’uso dello stesso non ha avuto quel ridimensionamento che ci si sarebbe aspettati.
Una prima considerazione è di carattere politico: per lo Stato Italiano il gettito fiscale sul tabacco è stato ed è così importante che realmente nulla e stato fatto di definitivo per combattere questo vizio. Se si pensa però che l’indotto è la broncopneumopatia cronica, il tumore del polmone, la coronaropatia ischemica, che incidono come costi sociali di assistenza sanitaria e perdita di giornate lavorative in modo così elevato probabilmente da annullare gli iniziali introiti impositivi, ci si chiede cosa ci stia a fare un Ministero della Sanità.
Una seconda considerazione e che il fumo e stato finalmente inserito a “pieno diritto” nelle tossicodipendenze: le modalità del fumare, certi suoi precisi rituali, l’impellente necessità dopo un certo periodo temporale, l’incapacità di smettere e la facilità con cui si ricade. Fanno del fumo di sigaretta un’altra faccia della tossicodipendenza, cosiddetta “minore”, unitamente a quella del consumo di alcool. (Ma poi perché “minore”? Forse perchè il fumatore in astinenza non va in giro a scippare vecchiette?).
La terza considerazione è che il fumo ha livellato i sessi, nel senso che dopo un lunghissimo trend in cui l’uomo aveva quasi un esclusiva, oggi le ultime statistiche parlano di un rapporto 1:1 nel consumo di tabacco nei due sessi, con un abbassamento della soglia di età. Da ciò ne consegue che particolari patologie una volta tipiche del sesso maschile, sono cresciute a dismisura anche nel sesso femminile. Nella donna poi “l’effetto fumo” ha maggiore virulenza, interessando più organi ed apparati. ll più importante, ovviamente, è quello polmonare: l’azione si sviluppa a livello bronchiale creando uno stato di irritazione cronica, specie su quelle cellule importantissime del tratto superiore, deputate con le loro cilia al trasporto del muco bronchiale e quindi a far sì che il polmone possa eliminare le impurità inalate. La loro riduzione sia in numero sia in funzionalità fa si che i secreti ristagnino, facilitando l’insorgenza di infezioni batteriche recidivanti.
A livello degli alveoli, che sono le piccolissime unità funzionali periferiche deputate allo scambio ossigeno-anidride carbonica, lo stato irritativo continuo porta ad alterazioni strutturali con diminuzione dell’ossigenazione del sangue e quindi l’aumento in percentuale dell’anidride carbonica circolante. Più praticamente, la capacità del polmone a fornire in condizioni di aumentato lavoro una prestazione ottimale, diminuisce proporzionalmente al danno; aumentano gli atti respiratori al minuto, senza però dare significativi benefici. Ecco perchè ad esempio la forte e media fumatrice che frequenta una palestra si lamenta costantemente di “fare fatica”, di non riuscire mai a rendere come vorrebbe, di sentire sempre pesanti le sedute di allenamento, insomma di non essere mai in forma.
L’inevitabile quanto fuorviante conclusione è che “…l’attività fisica di palestra dopo una giornata di lavoro è troppo pesante…” e quindi è forse meglio sospendere. Questo malinconico abbandono, porterà la nostra amica nel tunnel grigio della sedentarietà e ai suoi conseguenti malanni. Ma non basta: è stato ormai accertato, specie nelle donne in stato pre e post menopausale, che un lavoro di Hackett dell`88 ha dimostrato attraverso un complesso meccanico di controlli incrociati, che le donne fumatrici presentavano fenomeni osteoporotici maggiori di quelle non fumatrici, ma che le prime avevano una netta riduzione dell’osteoporosi e addirittura una certa tendenza al ripristino strutturale osseo dopo sei mesi dall’interruzione del fumo.
Ultimamente alcuni lavori pubblicati sull’American Journal of Gynecology hanno segnalato che alcune sostanze catramose presenti nelle sigarette, unitamente alla diminuita tensione di ossigeno nel sangue, inducono nelle giovani donne che fumano più di dieci sigarette al dì, alterazioni nella coniugazione epatica degli estrogeni con conseguenti disturbi del ciclo mestruale se non addirittura facilità all’aborto spontaneo ripetuto. Per concludere, la donna che continua a fumare e pensa di mantenersi in salute frequentando una palestra, anche con assiduità, in realtà non riesce mai ad ottenere quei benefici che ci si dovrebbe attendere da una corretta fitness.
Quindi: fumare, cui prodest?