“Chi, come lo scrivente, abbia goduto degli insegnamenti derivati dai lunghi periodi di quotidiana frequentazione con Jeremy e Rose Stamler (diretti Collaboratori di Ancel Kyes alla Northwestern University) sulla consistenza e sui reali benefici della “dieta mediterranea” non si sarà molto meravigliato dell’allarmato messaggio lanciato dalla “International Agency for Research on Cancer”, appartenente alla “Organizzazione Mondiale della Sanità”, su carni rosse e/o lavorate.”
Piuttosto la meraviglia sarà scaturita dal ritrovare, come motivazione di allarme, la vecchia storia degli “idrocarburi policiclici aromatici” che, agli ottantenni come me, era stata spiegata dai nostri maestri e risaputa dalle nostre mamme che, nel domenicale arrosto alle braci, provvedevano ad asportare attentamente le parti “bruciacchiate”.
Inoltre nel citato articolo della IARC non risulta del tutto convincente l’inserimento nel gruppo dei cancerogeni certi o “gruppo 2”, fissata per le carni rosse sulla base di una rielaborazione statistica, ricavata da più statistiche di studi differenti, difficilmente riducibili alla omogeneità necessaria per un risultato valido.
Questo potrebbe sortire, unicamente, da un gruppo di studi scientificamente definito, con parametri omogenei accertati. Resta invece valida la situazione di allarme determinata a frenare l’incombente proliferazione della moda del barbecue derivante dalla moderna (?) moda di scimmiottare qualcuno: in questo caso gli statunitensi, con i loro 125 Kg di carni a testa (prevalentemente vaccine) consumati annualmente pro capite. Noi che, come testimoniano i numerosi articoli sull’argomento (pubblicati dallo scrivente e da molti altri Autori) siamo abituati a parlare di “dieta mediterranea” e a praticarla, potremmo sentirci immuni dai pericoli insiti nell’allarme dell’OMS e, proprio per questo, cercheremo di comprendere se e quanto ciò ci possa riguardare.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e la IARC che ne fa parte sono istituzioni scientifiche di tutto rispetto e serietà ma, altrettanto seria e rispettabile è la Scuola di Ancel Kyes che ci ha lasciato, fra le tante eredità, la sua “piramide alimentare” (Fig. 1) che, come riportato in un precedente articolo, mostra uno spazio veramente piccolo riservato alle carni e con netta preferenza per quelle di
“cortile”; questo ci ha permesso di sentirci sicuri e garantiti sinora! E’ forse arrivato il tempo di rimettere in discussione la “piramide”? Certamente no!!
Personalmente credo sia giunto il tempo, come sostiene Jonathan A. Foley (“Si può nutrire il mondo e proteggere il pianeta?”- Le Scienze, n°521, gennaio 2012), di una nuova rivoluzione in agricoltura, modificando e/o adattando a una realtà mutata le idee che dettarono la prima rivoluzione, delle quali ho avuto modo di parlare frequentemente nelle lezioni per i Corsi ISSA Europe (Fig.2: l’aratore). Mi piace ricordarne qui, in particolare, quella sul rapporto fra “attività fisica e alimentazione proteica” e, in particolare” , fra quest’ultima e l’allenamento.
L’allenamento per l’esercizio fisico/sportivo ha come scopo finale l’aumento delle capacità prestative dell’Atleta e l’unico modo idoneo per ottenere questo è quello di aumentare il volume della massa magra muscolare che è costituita, fondamentalmente, da proteine semplici e complesse, sia elastiche che rigide. Il materiale da costruzione usato dalle proteine è costituito da aminoacidi che vengono sintetizzati dal nostro organismo a partire da materiale proteico assunto con la dieta. Questo fatti salvi i cosiddetti aminoacidi essenziali, che derivano direttamente dalla dieta e rappresentano, da soli, circa 1/3 delle proteine muscolari. Gli altri 2/3 sono prodotti dalla digestione catabolica e successiva ricostruzione (anabolismo) all’interno del nostro organismo.
La crescita dei muscoli, sia da stimolo allenante che per ricostituzione “circannuale” del materiale usurato o danneggiato (microtraumi), è indotta dallo stimolo allenante che, nello sforzo muscolare intenso – specialmente se prolungato – accelera sino a quintuplicare la sua intensità basale (da 18-19 j/m’ 90 j/m’). Tale accelerazione metabolica viene alimentata da un incrementato consumo di “nutrienti” anche proteici (secondo Withe & Brooks almeno: 10% del totale), consumo riferito agli aminoacidi per almeno il 10%.
Se mi è permessa dal cortese Editore una civetteria, mi piace ricordare che il vero significato dell’esercizio muscolare, nei confronti del metabolismo e del turnover delle proteine, ha avuto inizio con le ricerche effettuate, presso l’University College London e sotto la guida di RHT Edwards, da M. Rennie e dallo scrivente. Il primo di questi studi, che valutava il flusso di aminoacidi marcati, concluse per uno sbilanciamento in negativo dell’azoto durante l’esercizio, con ritorno alla positività dopo il recupero.
Nel secondo vennero valutati gli influssi dell’esercizio direttamente sul pool aminoacidico
del muscolo di atleta di alto livello.
Il confronto fra prima e dopo evidenziò una caduta delle quote con evidente significatività statistica: p<0,01.
La caduta più rilevante fu verificata a livello di glutamina che, come dimostrato in seguito, rappresenta da sola, il 50% del pool degli aminoacidi liberi del muscolo e che inoltre, come dimostrato da Jepson e al., è la bilanciatrice del rapporto anabolismo/catabolismo nel muscolo poiché funziona da indicatore: il suo livello elevato starterizza la ipertrofia muscolare da allenamento.
E’ su queste basi che possiamo e dobbiamo discutere a proposito di quantità e qualità della “quota proteica” necessaria e sicura da usare e consigliare da un Personal Trainer. Personalmente credo che l’allarme lanciato dall’OMS sia stato fortemente stimolato, se non dettato, dall’articolo sopraricordato di J.A. Foley che, presso la Minnesota Un. ricopre il prestigioso incarico di Mc Knight Presidential Chair in sostenibilità globale.
Il contenuto dell’articolo è un vero e proprio allarme sulla sostenibilità alimentare, dettata dall’equilibrio fra capacità di produzione e necessità di consumo da parte degli abitanti del pianeta. Ebbene questo equilibrio è, secondo Foley, vicino al limite! E questo limite è segnato soprattutto dal fatto che il 35% dei cereali prodotti – che risulterebbero sufficienti a sfamare l’intera popolazione – viene destinato a mangime per animali mentre un ulteriore 5% viene sottratto, all’alimentazione umana, per produrre biocarburanti.
Quindi è il 40% dei cereali prodotti che viene sottratto all’alimentazione umana, soprattutto a quelle popolazioni che si nutrono esclusivamente di cereali. Sono invece le popolazioni più ricche che destinano ben 30 Kg. di cereali per produrre un Kilogrammo di carne. Ecco quindi che anche noi, che ci sentiamo virtuosi per il nostro basso (?) consumo annuale (78 Kg di carne a testa per ogni anno) rispetto a quello dei grandi cultori del “barbecue”, certamente produttori di grandi quantità di idrocarburi policiclici, sviluppati nelle estremità bruciacchiate dai “carboni ardenti”, ci vediamo spinti a qualche riflessione. Gioca ancora a nostro favore l’uso frequente di carni di piccoli animali, sia da “cortile” che da allevamento “brado”, unite a quelle dei vaccini allevati a “pascolo libero”, ma neppure noi sfuggiamo allo squilibrio insito nel secondo parametro che sbilancia l’equazione alimentare: l’esaurimento dei terreni, coltivati con l’agricoltura intensiva dell’ultimo secolo e che risultano completamente esausti.
Stiamo parlando di tutti i terreni attualmente coltivati: il 38% delle terre emerse, non cementificate, escluse le oasi naturali, come le foreste tropicali, assolutamente intoccabili se vogliamo continuare a respirare.
Queste lunghe premesse non sono dovute a una personale conversione al credo vegetariano, né a quello vegano (anche se del tutto rispettabili) ma piuttosto al rispetto per la cultura dei lettori riguardante i problemi della nutrizione e dello “stile di vita” che ho, in parte almeno, contribuito a creare nel corso dell’ultimo ventennio.
E’ proprio per queste ragioni che, con il presente articolo, cerco di correggere eventuali sbavature che avessero a risultare, nello stesso lifestyle, rispetto a questi ultimi allarmi della scienza ufficiale.
Credo che le ripetute frequentazioni della “dieta mediterranea”, unite alla assoluta “insipienza” delle carni rosse provenienti dagli allevamenti intensivi (a immobilità obbligata) e alla conoscenza della insufficienza nutritiva delle stessa costituiscano già un buon bagaglio.
Altrettanto vale per la pratica “quotidiana” del mangiare mediterraneo con le sue moderate razioni di carni, preferibilmente da “cortile” o da “allevamento libero” che, comunque, non siano così ampie da spingere la nostra razione annuale sino ai 78 Kg. già ricordati.
Per questo il consiglio è quello di limare queste quote e, soprattutto, di ricercare carni da cortile bianche (come coniglio e tacchino) e carni vaccine giovani (vitello) allevate al “pascolo”, tutte senza cotture alla “brace” (Fig. 3).
In fondo… in fondo è da pensare che l’allarme terrorizzante lanciato dall’OMS sia piuttosto una presa d’atto, da parte delle prestigiosa Organizzazione, delle impressionanti sollecitazioni contenute nello scritto di J.A. Foley e, perciò, stimolare una delle opzioni sulla disincentivazione del consumo di carne.
La sola riduzione del consumo di carne potrebbe sembrare, a chi legge, poca cosa a fronte del problema incombente della fame nel mondo ma, in realtà e come dice Foley stesso, anche piccole modifiche del costume alimentare occidentale potrebbero portare sensibili miglioramenti. Questi ultimi risulterebbero legati anche – o soprattutto – alla qualità delle proteine prodotte dall’animale che si muove, specialmente sui pascoli di montagna.
A fronte di questo allarme, ancorché sotto le mentite spoglie del pericolo di “cancerogenicità” noi, Autori e/o Lettori di “Fitness&Sport” ci ritroviamo con la soddisfazione di avere già operato scelte ragionate e foriere di salute, anche sociale, con gli approfondimenti e i dibattiti sia verbali che a stampa. E’ su questa Rivista, che ci rappresenta, che ritengo necessario intervenire, sia per riconfermare l’attenzione dovuta ai grandi “organismi” di informazione sui temi della salute che per una presa d’atto delle indicazioni di modifiche, anche didattiche, necessarie nello “stile di vita” che vogliamo aderente alla realtà che ci circonda e alle “norme etiche” che ISSA.eu ci ha chiesto di sottoscrivere di recente.
Con questo atteggiamento e parallelo spirito mi permetto di ricordare, accanto alla necessità di riduzione della quota di “carni rosse” la possibilità di integrare la quota proteica con l’assunzione, già citata, di ottime carni bianche (Fig. 4):
– vitello
– agnello e capretto
– maialino
– tacchino
– coniglio
attirando la vostra attenzione soprattutto sulle ultime due, che compaiono già con frequenza nelle pietanze delle festività, come il tacchino o in numerosi piatti della cucina tradizionale, soprattutto dell’Italia centrale, come il coniglio.
Con modeste riduzioni quantitative, con accorgimenti di scelta e di metodo di cottura daremo una risposta ancora migliore e consapevole al messaggio dell’OMS restando fedeli alle linee guida e consolidate della nostra cultura alimentare.
Giuseppe Montanari
MD (già Docente Università degli Studi di Chieti)