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FOOD CONFUSION

 

Sono un Prof, insegno la corretta alimentazione o no? Sì, e continuerò a farlo.

 

Tranquilli, non voglio fare la predica a nessuno. E nemmeno sproloquiare per pagine e pagine per difendere il mio orticello. Voglio semplicemente dire quello che faccio da 25 anni, e che continuerò a fare. Con logica ed equilibrio.
Oltre le diatribe e la “guerra tra poveri” che impera in questo periodo sui social, sui media, sui blog. Guerra su “chi deve fare cosa” e “su chi può fare cosa” in tema di alimentazione, cibo, diete, nutrizione, piani alimentari, programmi foodfitness, consigli alimentari, menù dei ristoranti, educazione alimentare, e via discorrendo.

 

Sì, parlo di alimentazione nel mio lavoro, consiglio cibi e continuerò a farlo.
Lo faccio per il benessere delle persone che si affidano a me o, ancor di più, mi vengono affidate per il ruolo che ricopro. Con competenza, passione e cognizione di causa. E, credo, nel rispetto della legge”.

 

Per descrivere la complessità del fenomeno alimentazione inizio da questo breve passo che ben lo riassume: “Mangiare è molto più che nutrirsi: è un atto cognitivo complesso che mette in gioco numerosi processi – psicologici, sensoriali ed emotivi – strettamente collegati alle caratteristiche culturali, economiche e politiche del nostro ambiente di appartenenza. È un percorso articolato, influenzato da una miriade di informazioni interdipendenti che spingono ogni individuo a scegliere che cosa, come, quando e quanto consumare. Quando si parla di educazione alimentare è necessario, dunque, considerare l’atto del mangiare come un gesto multifattoriale: per questo motivo, se si vuole cogliere la sfida di un’educazione alimentare a scuola, occorre riflettere attentamente sul valore e sul significato dell’atto alimentare nella società contemporanea” (Giuliana Gellini psicologa e psicoterapeuta, Università di Trieste, 2015).

 

Sono un insegnante di EDUCAZIONE FISICA della scuola secondaria di I° grado (scuola media per capirci, allievi di 11-13 anni), abilitato dallo Stato Italiano ad insegnare, assunto di ruolo. Insegno Educazione Fisica (ex Scienze motorie e sportive) a questa fascia di pre-adolescenti da 22 anni.

 

Ora potrei semplificare dicendo: è possibile trattare le scienze motorie e sportive alias “la ginnastica” in età evolutiva senza parlare, accennare, trattare di alimentazione e idratazione?

 

Non credo.

 

I ragazzi, nella loro semplicità e spensieratezza ti portano loro stessi sull’argomento più spesso di quanto si pensi ed anche in maniera specifica, più di quanto ci si aspetterebbe e di quanto la mia generazione si sognava di chiedere. “Prof cosa devo magiare prima di allenarmi?”, “Se bevo una Redbull® vado più forte?”, “Mia mamma è vegana”, “Mio papà a Natale si è regalato una centrifuga, fa bene prof?” “Mia sorella usa una APP per contare quanto mangia”, “Mio cugino è palestrato prof e beve delle cose strane prima e dopo, cosa sono?” “La mamma mi dà solo cose BIO, va bene?”, “Io odio i miei perché non mi lasciano mai andare con gli amici al McDonald’s!” “Quando Lei in palestra ci dà le pause per andare a bere io non ho mai sete, come mai?”. E molte altre domande e curiosità che a volte rideresti per minuti, mentre altre volte disarmano e ti chiedi come sia possibile una tale confusione nel terzo millennio.

 

Cosa faccio,non rispondo? Evito l’argomento perché non sono medico o biologo? Ribalto la domanda con un “chiedilo alla mamma” sempre strategico?

Oppure insegno? Io ho deciso di insegnare!

 

Le linee guida del MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) per la mia disciplina mi “impongono” di trattare con gli allievi la corretta alimentazione, e indicano chiaramente di affrontare il non facile tema dell’ EDUCAZIONE ALIMENTARE (la vecchia IGIENE ALIMENTARE per i puristi). Normativa 2009 – Prot. n° 4273 – Miur: «Linee guida sulla riorganizzazione delle attività di Educazione Fisica e sportiva nelle scuole secondarie di I e II grado[…]. Riporta testualmente «[…]

 

Continua ad aumentare la richiesta da parte delle famiglie di una scuola che sia un centro educativo il cui intervento vada oltre gli ambiti disciplinari ed affronti con i ragazzi tematiche di carattere etico e sociale, guidandoli all’acquisizione di valori e stili di vita positivi”. […] Vi è una precoce rinuncia all’attività sportiva e si nota una importante diminuzione delle esperienze ludico-motorie causando nei giovani una scarsa percezione del proprio corpo. […]

Infine è crescente la preoccupazione per l’adozione di non corretti stili di vita sempre più sedentari e per una cattiva alimentazione, che determinano un aumento considerevole dei casi di obesità e delle malattie ad essa collegate». Quindi, se gli allievi delle mie classi non si muovono cerco di farli muovere e di indirizzarli verso una pratica sportiva, perché questa è la mia “mission” di pubblico ufficiale. Fin qui tutto regolare.

 

E se, per esempio, non fanno colazione? Non gli dico di farla? Non gli imposto una prima colazione con qualche scelta tra una fonte di carboidrati e qualche proteina? E se fanno l’intervallo con patatine e bibita non gli consiglio e/o consegno una lista con “merende” più sane tra cui scegliere? Non gli spiego perché è assumere un cibo piuttosto che un altro? Non declino le diverse proprietà dei cibi, i loro abbinamenti, i vantaggi, gli svantaggi?

 

Quindi a scuola da prof incaricato di farlo non devo parlare di frutta di stagione, yogurt, frutta secca, dolci più salutari, panino e prosciutto, cioccolato fondente, ecc. perché, pare, non si possano dare più nemmeno i famosi “consigli alimentari senza grammatura ai soggetti sani” se non si è medici o biologi nutrizionisti. Commetto un reato? Pare di sì, “abuso di professione”. Vogliamo essere realisti ed usare il buonsenso? Ed anche le competenze.

 

Sono un EDUCATORE e faccio EDUCAZIONE ALIMENTARE. Con fior di consigli.

Lo stato Italiano me lo dice. Essa comprende ogni attività che miri allo sviluppo di comportamenti alimentari corretti  e consapevoli del consumatore, nonché ad uno stile di vita sano, vissuto non come costrizione, ma come valore condiviso. E’ una efficace opera di prevenzione, particolarmente preziosa se avviata in tenera età perché le “malattie da eccessivo benessere” anche se si manifestano in età adulta affondano le loro radici già nell’infanzia e nell’adolescenza (scuola dell’obbligo). L’EDUCAZIONE ALIMENTARE riconosce i bambini e gli adolescenti come destinatari privilegiati perché in questa fascia d’età è presente una maggiore disponibilità a modificare i comportamenti che sono in via di formazione.

 

La scuola, pur con tutte le sue lacune, gli aspetti sicuramente migliorabili, il susseguirsi di riforme mai andate a regime e ampiamente modificabili e migliorabili, rimane, fino a prova contraria, il luogo che favorisce il raggiungimento di più segmenti della popolazione e rappresenta la sede più idonea per mettere in atto tutto questo. Come potrebbe essere altrimenti? Quindi a scuola parlo di cibo e consiglio il buon cibo. E anche una alimentazione giornaliera per il benessere. Realizzando lezioni formative non solo teoriche ma anche pratiche, reali, a volte culinarie, con l’aiuto di tutte le “risorse” interne alla scuola e le famiglie.

 

“Oggi cucino BIO” dove tutte le classi della scuola hanno lavorato nella cucina della mensa scolastica, dalla scelta all’acquisto degli ingredienti “sani” con i genitori, alla preparazione di dolci e piatti poi consumati con permesso della Dirigenza, dell’ASL, del comitato genitori.

 

In occasione dell’EXPO 2015 queste indicazioni sono state oltremodo approfondite, sottolineate e diramate dagli organi competenti: i docenti della scuola italiana sono incaricati dal MIUR, con nuove linee guida, di accompagnare i giovani italiani verso la corretta alimentazione tra i 4 e i 16 anni (scuola dell’obbligo). Tra gli altri: “Formare le giovani generazioni all’uso e al consumo consapevole del cibo”.

 

Mi sembra scontato che ogni mattina, come docente, parlo di cibo e di dieta congrua con i miei giovani allievi.

 

Inoltre sono un allenatore e un Personal Trainer con competenze riconosciute, titolare di un Centro di Personal Training da molti anni, dove le lezioni di allenamento personalizzato vengono somministrate in modo individuale (CENTRO PER IL TEMPO LIBERO E IL BENESSERE CON ATTIVITA’ INDIVIDUALIZZATE TIPO PERSONAL TRANING).

Ho usato volutamente il verbo “somministrare” perché l’esercizio fisico ben dosato è il farmaco più efficace che esiste.

 

Ai genitori dei miei allievi formazioni e consigli sulla corretta alimentazione come quelli dati ai loro figli la mattina? Mi astengo? Demando ad altri anche se si tratta di soggetti normalissimi in salute? Non rispondo?

 

Eccome se rispondo!

 

Mettendo in atto lo stesso “insegnamento scolastico”, tarato logicamente sull’adulto piuttosto che sull’adolescente.

Perché si rivolgono a me per questo. Come potrebbero rivolgersi a chiunque, di qualunque “filosofia alimentare”. Lo vogliono, ed è un loro diritto.

 

Non dimentichiamo infatti che l’ARTICOLO 2 DELLA COSTITUZIONE garantisce il rispetto dei diritti inviolabili della persona umana fra i quali, come ribadito anche da illustri garanti della giurisprudenza italiana, rientra senz’altro la scelta del PROPRIO REGIME ALIMENTARE. E’ un diritto costituzionale. E se si rivolgono “al prof. Zambelli” per una consulenza a tutto tondo sull’allenamento, lo stile di vita, il raggiungimento di una performance specifica, si parla e si conviene anche di alimentazione e di cibo. Di calorie, di macronutrienti, di timing, di colazioni, di cene.

 

Ho due lauree in scienze motorie, un master USA in scienze del fitness. Quindi rispondo, attenendomi alla scienza, senza bizzarrie e non invadendo il campo altrui. Solo risposte per il loro benessere. Altrimenti si sarebbero rivolti altrove, ad altri professionisti.

Non voglio fare il medico o il biologo nutrizionista ma faccio l’allenatore, l’insegnante e il Personal Trainer.

 

E personalizzo gli interventi il più possibile. Informo e formo.

 

Se le persone vogliono allenarsi con me, METTO IN ATTO PER LORO LE VARIAZIONI POSSIBILI, CON IL MEGLIO DELLE NOZIONI SCIENTIFICHE CHE HO STUDIATO.
Faccio o non faccio benessere? E se sono iscritti nella mia palestra sono CLIENTI e vogliono risultati e il cliente ha il “diritto” di scegliere chi vuole nel privato.

Pagano per una professionalità e le fatture riportano la dicitura : “consulenza per allenamento individualizzato”. Non fornendo un servizio completo verrei anche meno ad un contratto tra le parti.

 

 

 

Secondo voi in un contesto “contrattuale” del genere non mi chiedono consigli sul cibo? Non mi dicono ogni volta “Mi dai anche una alimentazione adatta al mio allenamento?” Se mi astenessi il mio ruolo di insegnante di salute e benessere, di fitness, di wellness, di wellbeing verrebbe meno. Sarei anche negligente a livello contrattuale.

 

 

 

Infatti Il personal trainer puo’ razionalizzare l’alimentazione del proprio cliente in rapporto al tipo di allenamento che sta eseguendo”.

 

Il Magistrato (Dott. Alfonso Marra, già Presidente Corti di Appello di Milano e Brescia in una serie di articoli pubblicati su Fitness & Sport in questi anni) afferma infatti che “il PT DEVE conoscere i concetti alimentari della quotidianità allo scopo di aiutare e consigliare per il meglio i propri clienti. Giunge a dire che il NON CONOSCERE tali argomenti comporta oltre che una scadente professionalità, anche la violazione di un obbligo contrattuale”. Un conto allenarsi “fit” due o tre volte la settimana, un conto fare un doppio allenamento giornaliero ogni giorno della settimana per una specifica prestazione (20-30 ore di training settimanale!), per attraversare a nuoto lo stretto di Messina, per correre la maratona di New York, per scalare l’Annapurna in invernale senza ossigeno, per salire sul ring a livello professionistico cambiando due categorie di peso.

 

Saranno performance diverse che necessitano di approcci nutrizionali diversi o no? E di continui aggiustamenti “in itinere” o no?

 

E chi li conosce secondo voi?
Chi li allena tutti i giorni. Chiaro poi che le collaborazioni proficue con più figure che ruotano attorno all’atleta sono auspicabili in primis, ben accette poi. Non devo dirlo io che il “lavoro in team” è il più proficuo. Quindi, se non mi taccio sul cibo, verrò punito? E se fosse il contrario? Non trattando l’alimentazione per il benessere performante del soggetto sano sarei mancante nel mio ruolo? Basta inquadrare il “problema” da un altro punto di vista che non sia quello delle “fazioni”, con logica e coerenza anche se il buon senso nell’era dei social va scomparendo. Semplicemente cercherò di ottimizzare sui singoli clienti le indicazioni OMS, FAO, CREA (CRA NUT ex INRAN), SINU e altri riferimenti scientifici e riconosciuti: se ti muovi poco ti dò poco, se ti muovi tanto aumentiamo … se non mangi qualcosa e sei carente di un principio nutritivo cerchiamo di inserirlo secondo le tue disponibilità, preferenze, abitudini. Se poi quotidianamente stimo con metodi accettabili muscolo, grasso e idratazione di un cliente adatto ulteriormente l’allenamento con queste variabili: ad esempio tanti muscoli usati spesso tanti carboidrati, pochi muscoli utilizzati raramente meno carboidrati.

 

Come? Non posso stimare IL consumo calorico basale e/o giornaliero di un mio cliente? Perché? E’ un calcolo matematico! Per farlo devo essere laureato in scienze matematiche? In ingegneria? In metabolomica? A parte che il calcolo posso farlo svolgere al cliente dopo avergli detto dove cercare la formula e quale utilizzare secondo il suo target.

 

Quindi? Reato?

 

Un allenatore non può parlare di spesa energetica in allenamento, non può valutare con quali cibi ripristinare tali consumi per l’allenamento successivo, non può dire quanto bere secondo l’attività? E chi lo deve sapere questo? Un allenatore utilizza vari test non invasivi e non massimali che ha a disposizione per realizzare il miglior programma di allenamento, senza fare diagnosi che sono un atto medico! Mi occupo di clienti valutati sani (visita medica) che hanno scelto liberamente di affidarsi a me e di cibo si parla tranquillamente. Anche io dovrei spesso rabbrividire o sobbalzare quando vedo “schede” fatte da chi fa altri lavori ed ha altre competenze, oppure sento da medici o nutrizionisti cose tipo: “per la scoliosi faccia nuoto”, “per dimagrire svolga solo attività aerobica” “per non ostacolare il suo calo di peso non si alleni molto con i pesi”.

 

Dove è il reato nel consegnare ad un cliente sportivo CHE LO RICHIEDE una alimentazione giornaliera come quella seguente dopo aver valutato tutto quello fin qui espresso?
E’ una alimentazione NORMOTIPICA BILANCIATA (60 C – 20 P – 20 G) assolutamente in linea con le linee guida di tutti i più prestigiosi organismi nazionali ed internazionali che si occupano di salute della popolazione attraverso l’alimentazione.
Tra l’altro l’alimentazione riportata come esempio nelle pagine seguenti (consigli alimentari da 2000 calorie) è stata redatta da un medico specializzato in scienze dell’alimentazione, per “comodità” distribuita da me con variazioni e accorgimenti sui clienti, secondo le variabili già discusse: lavoro, allenamento, stato fisico, composizione corporea, gusti, cultura, obiettivo.

 

Nessuno si occuperà mai dei patologici, degli obesi critici, o altro (esercizio abusivo delle professioni sanitarie, articolo 348 codice penale). Superfluo dirlo. Al massimo questi soggetti mi vengono affidati dai medici stessi per la “traduzione su campo” delle loro linee guida. Se entrano in contatto prima con me, essendo “a rischio”, è chiaro che li invio a chi di competenza per valutare il da farsi e tranquillamente alzo il telefono e mi rapporto con il medico o con altre figure specialistiche.
Competenti però. Non in senso polemico, solo realistico: se sei un pediatra mi dai indicazioni sui bambini non su un alpinista in un campo base a 6000m; se sei una ginecologa mi indichi come affrontare al meglio una amenorrea secondaria in una ragazza sottoalimentata o super-allenata non mi dai indicazioni su come far rientrare in categoria di peso una kickboxer professionista.

 

E via così. Perché per valutare questi soggetti e per proporre loro soluzioni anche alimentari, bisogna stare sul campo o in palestra, con il cronometro in mano o il bilanciere carico ogni giorno.
Tutto quello che svolgo e che ho riassunto in queste pagine è un reato e un “abuso di professione”? O è la MIA PROFESSIONE?

Se fosse un “abuso” si dovrebbero incriminare continuamente giornali e riviste, TV private, blog e siti, editori, esperti online che propongono alimentazioni di ogni tipo oltre ogni umana fantasia. Ogni libero cittadino sceglie cosa e come mangiare. E da chi farsi dare l’alimentazione. Non è così?

 

Figuriamoci, nel 2018 un cittadino può scegliere come e se curarsi (recente legge sul BIOTESTAMENTO, che comprende il consenso informato e le ”DAT”: Disposizioni Anticipate di Trattamento che, riassumendo, recitano: “ogni persona maggiorenne capace di intendere e di volere, in previsione di una futura incapacità di autodeterminarsi, può attraverso queste esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto, rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e ai singoli trattamenti sanitari, comprese pratiche di nutrizione e idratazione artificiali”).

 

Quindi continuo tranquillamente a fare il mio lavoro, perché sono competente in educazione alimentare abbinata alle tecniche di allenamento, non sono un allenatore da tastiera o un teorico da laboratorio, ma alleno quotidianamente persone sane o che lo possono diventare avendo ottenuto il benestare medico.

 

Anzi, lo Stato italiano mi affida come docente e titolare di cattedra l’EDUCAZIONE ALIMENTARE di soggetti minori in fase di crescita, categoria ben più sensibile e delicata rispetto ai clienti della palestra che vogliono correre veloci o avare il bicipite guizzante! Non guasta ricordare che essere “fit” o “performanti” sono concetti personalissimi e ampi: per qualcuno finire una maratona e sentirsi bene, per un altro squattare 150 Kg ed essere soddisfatto anche senza “tartaruga”.

 

Secondo il mio modesto parere il compito di un PERSONAL TRAINER certificato è di “aiutare” la persona che ha di fronte nel senso più ampio del termine. Insegnando uno stile di vita ATTIVO adeguato alle sue possibilità, esigenze e aspettative.
“Si prende cura con l’allenamento individualizzato” e, se la “cura” non funziona, cambia dosaggio, cambia “cura”, cambia “farmaco-esercizio”.

In questo contesto non può non rientrare il sapere, il parlare, il proporre l’ALIMENTAZIONE. Questo faccio insieme a tanti bravi e competenti colleghi, con il supporto di molti medici preposti alla collaborazione.

 

Il cliente sceglie da chi essere allenato.
E in questo caso la frase “IL CLIENTE HA SEMPRE RAGIONE” ha un valore. Un valore di libera scelta.

 

 

 

 

 

 

a cura di Stefano Zambelli MFS M.Sc. Direttore Tecnico ISSA Europe

 

 

 

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