“L’intento di questo approfondimento è sviluppare una riflessione precisa sui temi della soddisfazione e soprattutto provare ad individuare un percorso da seguire.
Il punto di partenza è, ovviamente, il cliente: destinatario ultimo del nostro intervento, ma contemporaneamente stimolo e punto di partenza del miglioramento continuo e di tutte le considerazioni sulla nostra crescita professionale.“
Come già sottolineato in precedenza (Fitness&Sport, gennaio 2016), negli ultimi anni abbiamo assistito ad un cambiamento nella consapevolezza del consumatore, che lo ha reso meno “sprovveduto” e influenzabile, ma soprattutto più determinato nella ricerca di un servizio/prodotto di qualità.
Non è più sufficiente “accontentare” il cliente, è necessario stupirlo, emozionarlo, conquistarlo ogni volta, per far sì che la sua scelta, nel tempo, continui a ricadere sulla nostra offerta: questa è la chiave della loyalty, che rappresenta l’obiettivo primario per tutti coloro che posizionano la propria attività nel settore terziario avanzato, quello cioè dei servizi di alto livello.
Orientare la propria pratica professionale alla fidelizzazione ha un vantaggio implicito e cioè quello di costruire e conservare nel tempo un portafoglio clienti strutturato e conosciuto (in altre parole, sicuro!), diminuendo così gli sforzi di una continua e impegnativa ricerca di nuove opportunità.
Chiariamoci: ampliare il proprio business grazie a nuovi e fruttuosi contatti è sempre un motore concreto del successo professionale, ma poter contare contemporaneamente su una base sicura, permette di muoversi con maggiore incisività.
Partiamo da un presupposto: lavorare con le persone non sempre è semplice.
La relazione con il pubblico implica competenze specifiche, che vanno dalla capacità di comunicare
in maniera efficace – ascoltando la persona in modo attivo e partecipativo – alla capacità di interpretare il comportamento non verbale per entrare in autentica empatia con l’altro; dalla capacità di analisi dei bisogni più o meno espliciti del cliente, alla possibilità di soddisfarli concretamente; dalla possibilità di chiarire le aspettative e gli obiettivi che caratterizzano il rapporto professionale, al rispetto delle peculiarità di chi abbiamo di fronte.
La relazione con il cliente è lo strumento principale del successo in tutte le attività di servizi e curare tale relazione muovendosi in maniera adeguata costituisce il vantaggio competitivo fondamentale e necessario allo sviluppo del business.
Dicevo inizialmente che questo contributo ha lo scopo di stimolare una riflessione.
Ecco allora la domanda chiave che invito a porvi: qual è la percezione di voi stessi rispetto a questi temi? Se dovessimo immaginare una linea che indica il livello di efficacia del servizio –
inteso come lo abbiamo descritto – a quale punto vi collochereste? E soprattutto, una volta stabilita la vostra posizione attuale, avvertite spazi di miglioramento? In quale maniera potreste colmarli?
Per guidare questa riflessione personale abbiamo deciso di utilizzare una metafora semplice ma efficace: quella della valutazione dei servizi di ristorazione, una realtà ben nota e che
ci permette di approcciare il nostro oggetto di studio – e cioè come voi vi ponete rispetto agli standard qualitativi del servizio – dal punto di vista del cliente.
In una città come Milano, ma ormai come in molte realtà anche di medie dimensioni, il panorama culinario è estremamente vario e sull’onda della globalizzazione, ha subito molteplici contaminazioni culturali, geografiche ed etniche, che vanno a sommarsi ad una tradizione che da sempre fa del nostro paese il leader del settore.
Parlavo di contaminazioni culturali: pensate a quanti format mediatici oggi sono incentrati sul cibo e a quale eco ha avuto l’iniziativa di EXPO 2015, interamente dedicata al tema dell’alimentazione mondiale.
Il cibo e la ristorazione rappresentano quindi una realtà particolare ai nostri scopi: da un lato consolidata nella tradizione, dall’altro in continua evoluzione, in cui ricerca e innovazione
guidano verso l’obiettivo di offrire ai fruitori uno specifico livello di soddisfazione.
Abbiamo verificato in passato come la qualità del servizio si misuri sulla qualità dell’esperienza che il cliente ha modo di vivere nel momento in cui si rapporta ad un dato prodotto: più l’esperienza è completa e appagante, più la persona sarà orientata al desiderio di sperimentarla nuovamente.
L’architettura cognitiva del nostro cervello testimonia come la qualità e l’intensità del vissuto emotivo siano strettamente collegate alle funzioni di memoria: l’emozione – positiva o negativa che sia – funziona come una sorta di ancora, che “aggancia” l’esperienza specifica cui è connessa e la imprime nei nostri ricordi, rendendola più velocemente accessibile ogni volta che in futuro ci ritroveremo a pensare o rivivere situazioni simili.
Non solo: ricordo ed emozione, così legati, rappresentano uno stimolo immediato all’azione, quindi orientano le nostre scelte e i nostri comportamenti.
L’esperienza costituisce quindi la chiave di accesso alla soddisfazione e alla fidelizzazione del cliente.
Sono quattro gli elementi principali che caratterizzano l’esperienza: il livello di intrattenimento, cioè la possibilità di sentirsi divertiti durante l’esperienza; l’apprendimento, cioè in quale misura ciò che si sta sperimentando contribuisce ad incrementare la conoscenza (propria e/o dell’ambiente); l’evasione, cioè il grado di temporaneo estraniamento, di fuga, dalla routine quotidiana; infine l’estetica, cioè quanto l’esperienza risulta “bella”, riuscendo a coinvolgere massivamente i canali sensoriali.
Forti di questo bagaglio teorico, torniamo alla nostra metafora culinaria, focalizzandoci su quattro tipologie di ristorante e provando, in base alle loro caratteristiche, a immaginare quale potrebbe essere la nostra esperienza di clienti.
Il self-service (“all you can eat”): qui troviamo solitamente un ambiente piuttosto semplice, a tratti impersonale, sia negli arredi che nella presentazione del cibo; normalmente il personale di sala (quando previsto) è scarso, dato che il cliente provvede quasi del tutto autonomamente a scegliere e procurarsi le pietanze; il veicolo promozionale principale è il prezzo, che di solito è estremamente contenuto.
Difficilmente è un luogo in cui le persone provano un’esperienza, ma piuttosto in cui solitamente si recano per fare in fretta e spendere poco.
Il classico ristorante-pizzeria: l’ambiente è spesso improvvisato e più orientato alla praticità che al gusto estetico, giudicato come poco rilevante. Il servizio è piuttosto standard e superficiale – difficilmente si richiedono consigli al personale, che quasi mai è specializzato. Come il precedente, anche questo è un luogo in cui ci si reca senza grandi aspettative, né di prezzo, né di gusto, dove magari ci si accontenta di mangiare sempre lo stesso piatto, così giusto per evitare sorprese! Il buon ristorante: tutti noi abbiamo il nostro ristorante preferito. Vi siete mai chiesti perché lo è diventato? Ognuno di voi presumibilmente avrà la sua personale risposta, ma credo che la maggior parte si avvicinino al concetto del “perché lì sto bene, mangio bene e mi sento a casa”.
Significa che questo luogo vi ha permesso di fare un’esperienza piacevole: sarà sicuramente un luogo che incontra il vostro gusto dal punto di vista estetico (semplice ma carino?), che permette di concedervi un momento di svago e serenità, in cui vi sentite trattati con sufficiente attenzione dal personale e nel quale magari vi concedete anche qualche esplorazione culinaria, apprezzando le novità che la cucina vi offre. Non è economico, ma gioca sulla familiarità. Il ristorante stellato: vengono definiti tali dalla Guida Michelin, che ogni anno assegna il prestigioso riconoscimento
ai locali che si distinguono come “Location da sogno. Cucina sofisticata, in un perfetto mix tra tradizione e innovazione”.
Alcuni degli chef premiati nel 2016 a Milano descrivono così la loro visione:
“Il divertimento è servito. Giocare con il cibo, perché l’esperienza culinaria non serva esclusivamente a nutrire ma, soprattutto, a divertire, emozionare l’ospite.
Questa è la nostra mission”.
Chef Tano Simonato: “Amo definire la mia, una cucina Moderna in evoluzione; il mio piccolo contributo al rinnovamento. Amo la tradizione, ma anche la modernità. La cucina è un mix fra questi due estremi, ai quali applico la mia sensibilità artistica. Buono, bello, moderno, leggero sono gli obiettivi che mi spingono a sfruttare le mie conoscenze e la mia creatività”.
Chef Claudio Sadler: “Le proposte del ristorante si rivolgono alla tradizione valorizzandola e abbinando ogni proposta al periodo dell’anno. L’eccellenza delle materie prime, la creatività e la sperimentazione negli accostamenti sono gli ingredienti di ogni piatto”.
Chef Eros Picco e Chef Tommaso Arrigoni: In questi luoghi, tutto è interamente concepito con l’obiettivo di far vivere al cliente un’esperienza unica, completa e appagante, da ogni punto di vista: l’ambiente, il servizio, il prodotto, sono tutte componenti essenziali di tale esperienza e per questo sono pensate con la massima cura e attenzione.
Sono luoghi in cui il “bello” si manifesta in tutte le sue forme, anche artistiche, in cui i sensi sono stimolati e incuriositi, in cui ricerca e innovazione (anche tecnologica) consentono di approfondire sempre più il piacere di nuove scoperte di gusto, in cui la creatività lascia sorpresi e divertiti, in cui la professionalità si respira e costituisce un presupposto di fondo.
Questi quattro, come è chiaro, rappresentano idealmente altrettante concezioni di standard di servizio e quindi quattro posizioni ben distinte sul continuum della percezione e della soddisfazione del cliente.
Cosa succede se provate a trasporre queste evidenze al vostro settore e a voi stessi? Quale di queste quattro situazioni sentite maggiormente rispecchiate nella vostra attività quotidiana di professionisti?
Siete certi che ogni giorno, con ognuno dei vostri clienti, il vostro approccio sia indirizzato a costruire un’esperienza unica?
Come vi dimostra la cultura dei ristoranti prestigiosi, ogni dettaglio ha grande valore nel costruire la percezione generale che il cliente sviluppa nei confronti di ciò che sta sperimentando; questi, tutti insieme, come delle piccole tessere, vanno quindi a costituire il mosaico dell’esperienza, che risulta incompleto o disarmonico se qualche tessera manca o è del colore sbagliato.
Allo stesso modo, pensate che l’impressione che il cliente avrà di quel ristorante sarà la stessa se le tovaglie sono di tessuto prezioso o dozzinale?
Se sono pulite o sporche? Oppure ritenete che non ci sia differenza tra un maître elegante, sorridente, che utilizza un linguaggio rispettoso e adeguato, e uno invece frettoloso, distaccato o poco educato? Oppure ancora, credete che la soddisfazione al termine della cena sia la stessa se i piatti sono preparati con fantasia, creatività e ottime materie prime, o siano invece frutto della consuetudine?
L’invito è a riflettere su questo tema con sincerità e autenticità: la strada per l’eccellenza può essere complessa e impegnativa, ma diventa percorribile solo se c’è maggiore consapevolezza delle proprie risorse e intenzioni.
Dott.ssa Alice Curzi
Psicologa clinica e del lavoro
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