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Vivere con una malattia cronica significa affrontare ogni giorno terapie più o meno complesse, visite specialistiche, farmaci da assumere e, spesso, anche una qualità della vita ridotta. Ma la gestione delle malattie croniche non è solo un dramma individuale: è anche una sfida collettiva.
Un paziente cronico può arrivare a costare allo Stato italiano fino a 21 volte di più rispetto a chi non soffre di patologie croniche. Questo dato impressionante, rilevato in Lombardia ma replicabile a livello nazionale, mette al centro della riflessione il tema della sostenibilità del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN). E, ovviamente, fa intuire quanto la gestione delle malattie croniche incida sulla spesa sanitaria.
A sottolinearlo è il professor Giorgio Lorenzo Colombo, docente presso l’Università di Pavia e direttore del Centro di Economia e Valutazione del Farmaco e delle Tecnologie Sanitarie (CEFAT), che ha recentemente presentato un’analisi approfondita al Symposium “Medicina dei Sistemi”, evento realizzato con il sostegno non condizionante di Guna, azienda italiana attiva nella low dose medicine.
“Oggi il paziente cronico rappresenta il 30% della popolazione e genera il 70% della spesa sanitaria” spiega Colombo.
Diagnosi tardive e disuguaglianze territoriali
Una delle criticità principali che impatta la gestione delle malattie croniche è il ritardo diagnostico.
“In Italia – afferma Colombo – si arriva a intercettare la patologia con un ritardo di 3 o 4 anni rispetto a Paesi con simile sviluppo. Questo è dovuto a un sistema ospedalo-centrico, alla scarsa assistenza territoriale e alle disuguaglianze regionali. Al Nord vi sono strutture migliori, al Sud tempi di attesa lunghi e meno risorse. Questo determina, tra le altre cose, il fenomeno del turismo sanitario al Nord, che viene sovraccaricato”.
“È un problema che nasce dall’intreccio di fattori culturali, organizzativi e dalla carenza di strumenti concreti. Serve un cambio di paradigma: rafforzare la medicina territoriale, ridurre le disuguaglianze regionali, investire in strumenti di prevenzione e screening e accelerare la digitalizzazione dei percorsi di diagnosi e follow-up”.
“Se potessi suggerire un intervento prioritario, direi: potenziare la medicina territoriale con investimenti mirati su screening di popolazione, programmi di prevenzione e strumenti digitali per il monitoraggio proattivo dei pazienti”.
Gestione delle malattie croniche a fronte della sfida della pluri-cronicità
Il nodo cruciale è la presenza simultanea di più patologie nello stesso paziente.
“La pluri-cronicità rappresenta una delle sfide più rilevanti per la sostenibilità del sistema sanitario. Richiede un ripensamento dei modelli di presa in carico e un’integrazione più efficace tra prevenzione, gestione territoriale e ospedaliera e innovazione terapeutica. Non possiamo trattare il paziente cronico come se fosse un paziente acuto” chiarisce il professore.
Quattro strategie per migliorare l’aderenza terapeutica
Tra gli elementi chiave per migliorare la gestione delle malattie croniche, Colombo indica la necessità di lavorare sull’aderenza alle terapie: “date le implicazioni cliniche ed economiche della mancata aderenza, risulta necessario trovare e applicare strategie funzionali al suo miglioramento”.
Le quattro strategie proposte sono:
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programmi di auto-monitoraggio e auto-gestione dei farmaci;
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più spiegazioni in merito all’utilità dei medicinali e dei danni legati alla loro assunzione scorretta;
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coinvolgimento diretto dei farmacisti nella gestione dei prodotti;
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facilitazione degli schemi terapeutici, per facilitarne il rispetto.
Una nuova visione per la gestione delle malattie croniche
Accanto ai numeri che descrivono il peso crescente della cronicità sulla spesa sanitaria, emerge anche una possibilità concreta: quella di ripensare in modo innovativo la gestione di questo tipo di malattie, attraverso un approccio multidisciplinare e personalizzato. L’obiettivo? Non solo contenere i costi, ma prevenire l’aggravamento della condizione clinica, migliorare l’aderenza alle terapie e seguire il paziente fragile con il contributo coordinato di più figure professionali.
“La Medicina dei Sistemi significa guardare al paziente in modo olistico, considerando l’interazione tra patologie, farmaci e fattori socio-ambientali, per costruire percorsi di cura personalizzati e integrati. La deprescrizione ragionata è un atto clinico che punta a ridurre l’uso inappropriato di farmaci, migliorando l’aderenza terapeutica e la qualità di vita. È un processo strutturato che prevede la sospensione sicura e progressiva di farmaci non più necessari, soprattutto nei pazienti con pluripatologie.
Oggi manca una figura o un team di riferimento che coordini sistematicamente questo processo. Per renderlo realmente efficace, occorre attribuire una responsabilità chiara e dotare i professionisti di strumenti e tempi adeguati per integrarla nella pratica clinica quotidiana”.
Il valore dell’attività fisica nella cronicità
Un altro aspetto trascurato, ma essenziale nella gestione delle malattie croniche, è l’attività fisica adattata.
“La sua efficacia nella prevenzione e gestione della cronicità è ampiamente dimostrata, ma il SSN non la valorizza ancora in modo sistematico. Serve un cambio di paradigma che la riconosca come vera e propria terapia non farmacologica. È il momento di costruire un dialogo interdisciplinare tra farmacologi, professionisti dell’esercizio fisico e psicologi per sviluppare percorsi terapeutici più completi”.
Esistono esperienze virtuose anche in Italia, per esempio in ambito nefrologico. L’attività fisica nei centri di nefrologia, oggi più che mai, è sostenuta da solide evidenze scientifiche e linee guida internazionali. Le Clinical Practice Guidelines for CKD – Chronic Kidney Disease consigliano 150 min settimanali di esercizio moderato, insieme a esercizi di forza per mantenere massa muscolare e migliorare qualità di vita, anche nei pazienti in dialisi.
“Ma – sottolinea Colombo – studi mostrano che solo il 26% dei centri dispone di programmi strutturati di esercizio fisico”.
Secondo le linee guida internazionali e diverse review cliniche recenti, i principali ostacoli alla diffusione dei programmi di esercizio fisico in nefrologia (come verosimilmente in altri ambiti) comprendono:
- carenza di personale specializzato (chinesiologi o fisioterapisti formati),
- mancanza di spazi e dispositivi dedicati,
- assenza di linee guida vincolanti a livello nazionale,
- scarsa integrazione tra team clinici e figure motorie.
Sostenibilità del sistema e ruolo attivo dei cittadini
“Una visione sostenibile non può prescindere da un approccio integrato che tenga insieme prevenzione, medicina personalizzata e razionalizzazione della spesa.
Serve un sistema capace di spostare il baricentro dall’ospedale al territorio”.
E infine, un invito diretto ai cittadini: “ognuno di noi può fare la differenza: adottare stili di vita sani, aderire ai programmi di prevenzione e usare in modo consapevole le risorse sanitarie significa non solo prendersi cura della propria salute, ma anche contribuire alla sostenibilità e all’equità del sistema per tutti”.