INVECCHIARE SENZA DOLORE

 

Le persone che soffrono di mal di schiena sono spesso convinte che la loro vita sarà caratterizzata da un continuo incremento del dolore e della disabilità, pensiero che porta loro a scegliere trattamenti invasivi quali la terapia con oppioidi a lungo termine, continue infiltrazioni o la chirurgia.

 

In realtà, la maggior parte dei cambiamenti della colonna che avvengono con l’invecchiamento non sono più significativi della comparsa dei capelli bianchi o delle zampe di gallina intorno agli occhi.

 

La più grande revisione sistematica compiuta fino ad ora ha dimostrato che i segni radiografici di degenerazione della colonna vertebrale hanno raramente un’associazione con la lombalgia e, quindi, non dovrebbero essere considerati come evidenza dell’origine del dolore.

 

 

Waleed Brinjikji del Department of Radiology of Mayo Clinic, Rochester, Minnesota, USA, ha revisionato tutti gli studi nei quali veniva riportata la prevalenza di degenerazione della colonna lombare alle immagini di risonanze magnetiche e TC di pazienti adulti asintomatici e senza storie di lombalgie pregresse.

 

Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista American Journal of Neuroradiology. Dai 33 studi, è emerso che la degenerazione discale asintomatica è estremamente comune e la sua prevalenza aumenta con l’età: dal 37% nei ventenni al 96% degli ottantenni. La prevalenza di una protrusione discale oscilla invece dal 29% a vent’anni al 43% ad ottanta.

 

[Brinjikji W e coll. Systematic literature review of imaging features of spinal degeneration in asymptomatic populations. AJNR Am J Neuroradiol. 2015 Apr;36(4):811-6.]

 


 

ABITUDINI ALIMENTARI DEGLI ITALIANI

 

Le abitudini alimentari delle donne italiane, risultano carenti in diversi componenti fondamentali per un corretto apporto alimentare e per un’efficace protezione della salute.

 

Lo dicono i risultati del Test della Piramide, raccolti da “Curare la Salute” elaborati dal Censis presentati durante il convegno Spazio Nutrizione a Milano. La ricercatrice Ketty Vaccaro, responsabile area salute dell’Istituto di ricerca Censis, ha identificato cinque gruppi omogenei connotati da ben determinate abitudini alimentari.

 

Il 31,6% del campione è rappresentato da donne quarantenni sempre a dieta, donne lavoratrici attente alla propria salute, soprattutto a quella del corpo: fanno palestra, amano il cibo, gli alcolici, fanno uso prevalente di proteine, ma sono carenti in molti altri nutrienti, soprattutto nei cereali.

 

Un altro 22,5% del campione, in età perimenopausale e di cultura medio-elevata mangiano pesce e carni bianche, legumi, pochi cereali, frutta ma poca verdura, anche se sono convinte di consumarne molta. Si concedono qualche dolce e non rinunciano all’attività fisica.

 

Ci sono poi le donne più anziane (13,8%) prevalentemente laureate e con un concetto molto elitario di prendersi cura della propria salute: sport, cereali, legumi, frutta, poca verdura e pochissimi derivati animali.

 

 

Un 14% del campione è invece rappresentato da maschi onnivori, dai 30 anni in su, che svolgono attività fisica sostenuta, mangiano frutta e verdura, ma si concedono molto spesso ampie gratificazioni alimentari; stessa scelta per i maschi under 30, che però eccedono maggiormente negli alcolici e nei dolci, e consumano pochissimo pesce.

 

Il rimanente campione sono persone che curano molto poco l’alimentazione oppure si affidano a diete fai-da-te o a regimi alimentari incongrui.

 

Ne è derivato quindi un quadro del tutto inedito da cui risulta la crescente tendenza a consumare poca frutta, verdura e pesce, pochi legumi, addirittura poca pasta. Soltanto l’olio mantiene stabilmente il suo consumo.

 

Il prof. Michele Carruba, direttore del Centro Studi e Ricerche sull’Obesità dell’Università degli Studi di Milano, ha commentato che l’abbondanza dei cibi, e il cambiamento dello stile di vita e abitudini alimentari, ha portato a un impoverimento della qualità dei consumi, con un’ovvia ricaduta sullo stato di forma generalizzato dei cittadini.

 

[Test della Piramide, Curare la Salute, Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) Milano 2017]

 


 

L’ACIDO ALFA-LIPOICO AUMENTA IL DISPENDIO ENERGETICO

 

La supplementazione di acido alfa-lipoico (ALA) innesca una lieve diminuzione del peso corporeo, secondo una meta-analisi condotta da Suat Kucukgoncu del Dpt. of Psychiatry della Yale University, Connecticut, USA pubblicato su Obesity Review(1).

 

Uno studio condotto dalla China Agricultural University di Pechino da parte di Wang Y pubblicato su Metabolism(2) ha dimostrato che gli ALA potrebbero potenziare l’attività dei mitocondri cellulari.

 

I mitocondri sono la “centrale elettrica” delle cellule e forniscono al corpo l’energia necessaria e influenzano fortemente la durata della vita. L’acido lipoico protegge i mitocondri dai radicali liberi altamente reattivi, naturalmente prodotti nel metabolismo.

 

Dei topi anziani supplementati con acido lipoico miglioravano il metabolismo energetico ed aumentavano la produzione dei mitocondri cellulari. Si è visto che migliorava la composizione corporea, la regolazione dello zucchero nel sangue e aumentava il dispendio energetico e la massa magra.

 

L’acido lipoico potrebbe essere un efficace supplemento anti-age favorendo la salute metabolica.

 

 

[(1)Kucukgoncu SObes Rev. 2017 May;18(5):594-601. (2)Wuang Y. Metabolism. 2010 Jul;59(7):967-76]

 


 

CROSSFIT E DIABETE DI TIPO 2

 

Il diabete mellito di tipo 2 è una malattia metabolica in rapida crescita nei paesi industrializzati e l’attività fisica, specie se regolare e supervisionata, è uno dei pilastri della sua terapia insieme alla dieta, agli stili di vita e alla terapia farmacologica.

 

In un articolo comparso sull’American Journal of Physiology, Endocrinology and Metabolism è stata consigliata l’introduzione nell’attività fisica della tecnica del Cross-Fit.

 

Classicamente, considerando che il diabete è una malattia cardio-metabolica, viene prescritta un’attività fisica a media intensità di tipo aerobico, alternata eventualmente a brevi fasi anaerobiche, quindi a basso impatto cardiovascolare, ma che richiede per produrre un effetto reale almeno cinque sedute settimanali di un’ora, con la conseguenza che la compliance a lungo termine dei pazienti è molto bassa e gli abbandoni assai frequenti.

 

Per superare questo limite gli autori hanno selezionato un gruppo di diabetici sperimentando la HIIT (High Intensity Interval Training), che è un’attività ad alta intensità, intervallata da brevissime fasi di attività aerobica o riposo, che ha dimostrato di produrre gli stessi effetti di miglioramento sul pattern metabolico e sull’insulino-resistenza dell’esercizio aerobico, con sole 2-3 sedute settimanali di circa 30 minuti.

 

 

Una variante della HIIT, cioè il Cross-Fit, è stata valutata per verificare se un’attività fisica anaerobica ad altissima intensità avesse un impatto positivo sulla malattia.

 

Sono stati analizzati diabetici di tipo 2 dell’età media di 50 anni, scompensati (con l’emoglobina glicata superiore a 8,6), sedentari, che per un mese e mezzo hanno seguito un programma di Cross-Fit con tre sedute settimanali della durata di 10/20 minuti.

 

La secrezione insulinica, sotto carico di glucosio, ha mostrato un netto miglioramento. Seppur sia ancora presto per trarre conclusioni sicure è indubbio che i valori biochimici registrati assieme alla diminuzione della emoglobina glicata, dimostrano che questo tipo di allenamento incide positivamente sulla secrezione insulinica, verosimilmente dipendente dalla diminuzione della insulino-resistenza.

 

Va però sottolineato che il Cross-Fit, che è un’attività ad alto impatto cardiovascolare, è praticabile solo da quei diabetici di tipo 2 già allenati, non portatori di patologie cardiovascolari e attentamente monitorati.

 

Comunque l’esercizio fisico supervisionato, che alterna fasi aerobiche/anaerobiche, ha dimostrato ampiamente di rappresentare una scelta efficace e valida nella cura del diabete di tipo 2.

 

[Nieuwoudt S, Fealy CE, Foucher JA, Scelsi AR, Malin SK, Pagadala M, Rocco M, Burguera B, Kirwan JP. Am J Physiol Endocrinol Metab. 2017 Sep 1;313(3):E314-E320.]

 

 

 

a cura del Comitato Scientifico ISSA Europe

 

 

 

 

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