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LE NEWS di Fitness Instructor

 

GRAVIDANZA E IODIO

 

Le donne in gravidanza e quelle che allattano al seno dovrebbero assumere più iodio nella loro alimentazione, ricorrendo a specifiche integrazioni. È questa la posizione dell’American Academy of Pediatrics in merito alle raccomandazioni dell’American Thyroid Association sull’utilizzo di supplementi di iodio da parte delle donne gravide e durante l’allattamento.

 

Come emerge dall’articolo sulla rivista Pediatrics, infatti, carenza di iodio nella dieta della madre, può interferire con lo sviluppo cerebrale dei figli e aumenta la vulnerabilità ad alcun inquinanti atmosferici, come i nitrati, i tiocianati e i perclorati.

 

Nonostante queste informazioni, molte donne in età riproduttiva hanno carenza di iodio e solo il 15% utilizza supplementi ricchi di questo elemento chimico.
È importante ricordare che lo iodio è indispensabile per la produzione degli ormoni tiroidei e che un ipotiroidismo non trattato nei neonati può influenzare negativamente lo sviluppo cognitivo provocando a volte danni cerebrali gravi e permanenti.

 

I pediatri ed i ginecologi dovrebbero informare le future madri e le donne che allattano sui rischi che comporta un’alimentazione troppo povera di iodio, sottoponendole ad una banale prelievo ematico ed intervenendo quindi al bisogno.

 

 

INFEZIONI RESPIRATORIE NELL’INFANZIA

 

Nei bambini in età prescolare l’aggiunta alla dieta di acidi grassi omega-3 e fibre prebiotiche (cioè sostanze che stimolano la crescita di germi utili) si è dimostrata in grado di ridurre le infezioni respiratorie acute e l’uso ovviamente di antibiotici.
Sono le conclusioni di uno studio pubblicato su Pediatrics da parte di ricercatori cinesi di Shanghai e americani della University of Indiana.

 

Questi studiosi confermano che nell’infanzia una dieta inadeguata può influenzare la funzione immunitaria e il tutto può talvolta compromettere lo stato nutrizionale del bambino.

Proprio nella prima infanzia sono assai presenti le infezioni respiratorie acute, da cui deriva spesso l’uso inadeguato di antibioticoterapia.

Nei neonati e nei bambini prescolari gli omega-3 favoriscono lo sviluppo immunitario, riducendo appunto le infezioni respiratorie acute.

 

Tale azione sembra aumentata dalla somministrazione contemporanea di prebiotici e anche di beta-glucano, un polisaccaride con proprietà immunomodulanti.
Questo studio conferma numerosi altri dati riferentisi ad atleti portatori di URTI (upper respiratory tract infection): l’utilizzo di probiotici (non prebiotici) e di omega-3 diminuisce nettamente l’insorgenza di tali patologie, avendo un’azione immunostimolante e migliorando quindi le performance dell’allenamento.

 

 

PREVENZIONE DELL’OBESITA’ INFANTILE

 

Nel periodo compreso tra il 2000 e il 2011 le famiglie statunitensi con bimbi in età prescolare hanno ridotto l’acquisto di cibi e bevande ad alto contenuto di calorie e questo può aver contribuito alla riduzione dell’obesità in età pediatrica registrata oltre oceano.
Gli epidemiologi nutrizionisti della University of North Carolina hanno pubblicato un articolo sulla rivista American Journal of Preventive Medicine nel quale affermano che tra il 2003 e il 2010 il trend di crescita dell’obesità nei bambini è cominciato a rallentare e si è stabilizzato nel 2007, mantenendosi poi nel tempo.

 

L’ultimo report ha rilevato una riduzione significativa dell’obesità nei bambini tra i 2 e i 5 anni dal 12 al 8,5%. Tutto ciò sarebbe dovuto ad un acquisto più consapevole presso i supermercati, con diminuzione dei cosiddetti “junk food” e di conseguenza la diminuzione di zuccheri e grassi. Tutto ciò è importante perché il 70-80% dell’alimentazione dei bambini in età prescolare arriva da supermercati e negozi, mentre il restante 20-30% dalle mense dei centri per l’infanzia.

 

Gli autori concludono dicendo che le discussioni sull’obesità in età pediatrica spesso puntano il dito contro i fast food e il loro impatto negativo, ma ciò è corretto per classi di età superiori, mentre l’impatto maggiore del cibo sui bambini più piccoli proviene da negozi e supermercati. E comunque l’educazione alimentare deriva sempre dalle attitudini dei genitori. Da questo non si scappa.

 

 

DIABETE E INSULINA

 

Nel diabete di tipo 2 l’insulina è un presidio terapeutico che spesso viene introdotto in tempi successivi, alcune volte mai, alla diagnosi di malattia.

Si sa inoltre che le complicanze maggiori della malattia si indirizzano sul sistema cardiovascolare e molto spesso questi pazienti soffrono di coronaropatie e infarto miocardico.

 

Uno studio svedese, pubblicato su Lancet, ha monitorato pazienti diabetici di tipo 2 che avevano subito un infarto miocardico, seguendone due gruppi: uno che assumeva solo ipoglicemizzanti orali e un altro che assumeva invece insulina.

 

I dati epidemiologici hanno dimostrato che coloro che avevano ricevuto l’insulina avevano avuto una sopravvivenza media di tre anni in più rispetto a chi prendeva antidiabetici orali.

Ciò porterebbe all’ipotesi che l’insulina avrebbe un effetto protettivo a livello cardiaco, non presente negli ipoglicemizzanti orali.

 

Dato che la sopravvivenza media dei diabetici impegnativi è migliorata dall’uso delle statine e degli ACE-inibitori, un editoriale comparso sempre sulla medesima rivista puntualizza come la terapia diabetica ponga un vera sfida, ovvero una scelta specifica per ogni singolo paziente come migliore opzione per un trattamento efficace. Tutto ciò dimostra ancora una volta come l’assunto che ogni soggetto è unico e qualsiasi tipo di trattamento, medico e non, deve essere adattato alle sue specifiche condizioni, è assolutamente vero.

 

 

INTEGRAZIONE ALIMENTARE DI FERRO

 

Il ferro è una componente essenziale dell’emoglobina, che è la proteina che trasporta l’ossigeno del sangue verso i tessuti. Il ferro è un minerale quindi molto importante per il benessere del nostro organismo ma, allo stesso tempo, se presente in quantità non fisiologica, diventa un radicale libero, con tutti i danni derivanti, e una molecola tossica per molti organi, tra cui il fegato e l’encefalo.

 

Per questo motivo l’integrazione di ferro nella dieta deve essere sempre indicata da un medico e solamente nei casi necessari.
Purtroppo le indagini epidemiologiche hanno dimostrato che molti atleti assumono integratori di ferro perché pensano che stimolando il midollo a produrre globuli rossi aumenteranno di conseguenza i trasportatori di ossigeno e quindi le loro performance: questo concetto è un grave errore. In uno studio condotto dalla Università di Melbourne in Australia e pubblicato su Nature Communications è stato rilevato che livelli alti di ferritina (indice di deposito di ferro nell’organismo) nel fluido cerebro-spinale sono legati all’insorgere dell’Alzheimer.

 

I soggetti con una variante del gene chiamato APOE-e4 sono particolarmente sensibili all’aumento del ferro, specialmente nel sistema nervoso centrale e sono portati quindi allo sviluppo della terribile malattia. Gli autori concludono dicendo che, mentre è possibile trovare una modesta carenza nelle donne atlete, legata usualmente al ciclo mestruale, e quindi vi può essere la necessità di un’integrazione di ferro, la maggior parte degli atleti uomini dovrebbe evitare gli integratori di ferro, se non dietro specifica indicazione di un sanitario.

 

 

ATTIVITA’ FISICA E BENESSERE NELL’ANZIANO

 

La partecipazione degli anziani a programmi strutturati di attività fisica a intensità moderata riduce in modo significativo il rischio di disabilità rispetto al solo intervento educazionale: questi dati emergono da uno studio dell’Università della Florida e pubblicato su JAMA.

 

La capacità di camminare senza aiuto è una caratteristica fondamentale per l’autosufficienza della persona e una ridotta mobilità, comune negli anziani, è un fattore di rischio indipendente di morbilità, mortalità, ospedalizzazione e disabilità. I ricercatori sottolineano inoltre che non ci sono molti studi sull’efficacia preventiva dell’attività fisica nei confronti della disabilità dipendente da una ridotta mobilità.

 

Lo studio di JAMA si è interessato su oltre 1500 soggetti anziani con età compresa tra 70 e 89 anni, tutti in grado di camminare per oltre 400 metri, assegnati ad randum a un programma di attività fisica di attività moderata, oppure di sola educazione sanitaria su temi riguardanti l’esercizio fisico.

 

I partecipanti sono stati seguiti per circa tre anni e i risultati confermano l’ipotesi: una maggiore disabilità, con perdita della capacità di camminare per 400 metri, è stata osservata, in termini statisticamente significativi, nel gruppo educazionale. Gli autori suggeriscono quindi che per diminuire il declino funzionale dei senior è importante che vengano portati avanti programmi strutturati con una intensità fisica moderata, capaci di ridurre quindi il carico di disabilità.

 

 

CONOSCERE GLI EFFETTI NEGATIVI DEL FUMO

 

Secondo uno studio pubblicato sull’American Journal of Preventive Medicine, della University of South Carolina, molti fumatori non conoscono ancora i pericoli del tabacco e scoprendoli trovano la voglia di smettere. Gli estensori dello studio sono molto severi quando affermano che l’industria del tabacco ha sistematicamente ingannato il pubblico per decenni, negando che il fumo fosse pericolo e fonte di dipendenza.

 

Negli USA una sentenza federale del 2006 stabiliva che l’industria del tabacco doveva fornire dichiarazioni correttive sui loro inganni passati attinenti a cinque temi: effetti del fumo sulla salute dei fumatori; effetti sulla salute del fumo passivo per i non fumatori; sigaretta e dipendenza da nicotina; progetti dell’industria delle sigarette per aumentare la dipendenza; mancanza di sicurezza nelle sigarette cosiddette leggere e a basso tenore di catrame.

 

Gli studiosi affermano che l’attuazione di questa sentenza è stata ritardata per quasi un decennio da continue battaglie legali: durante questo periodo il marketing del tabacco ha continuato a spingere, tanto che molti fumatori sono ancora oggi all’oscuro sulla verità dei gravi danni del fumo.

 

Proprio questa categoria è sembrata essere la più motivata a smettere una volta venuta a conoscenza delle informazioni corrette sui reali pericoli. Infatti circa un terzo degli intervistati (donne, afroamericani, ispanici e persone a basso reddito) ha dichiarato che alcune informazioni erano nuove per loro e che averle conosciute li motivava a cercare di smettere.

 

 

FIBRE ALIMENTARI E APPARATO VASCOLARE

 

È ormai risaputo che i cibi ricchi di fibre proteggono il nostro organismo dai tumori dell’intestino, ma anche dalle malattie cardiache, tanto che tutte le linee guida nutrizionali pongono una particolare attenzione alla corretta assunzione delle stesse. Ulteriore conferma a questo dato emerge da uno studio condotto dall’università di Leeds in Inghilterra e pubblicato sul prestigioso British Medical Journal, che ha condotto una metanalisi sui più importanti lavori sull’argomento.

 

I ricercatori confermano che un aumento dell’apporto totale di fibre pari a 7 grammi giornalieri riduce in modo significativo le probabilità di essere colpiti da malattie cardiovascolari.

 

Esiste anche un’apparente differenza nell’efficacia a carico delle singole fibre: suddividendo infatti le stesse per tipo e origine è emerso che una maggiore assunzione di fibre insolubili da cereali o verdure si associa ad un ridotto rischio di malattie coronariche e cardiovascolari, mentre una maggior assunzione di fibre solubili provenienti dalla frutta avrebbe il suo trend benefico sulle malattie cardiovascolari, non significativo per quelle coronariche.

 

Alla fine però gli studiosi concludono che, analizzando gli studi in letteratura, la metanalisi conferma i vantaggi, in termini cardiovascolari e coronarici, di una dieta ricca di legumi, frutta, cereali e verdure.

 

 

VITAMINA C E GRAVIDANZA

 

Secondo uno studio dell’Università di Portland pubblicato su JAMA la somministrazione di vitamina C alle fumatrici in gravidanza migliora la funzione polmonare dei neonati e riduce l’incidenza di respiro sibilante nei bambini sino al primo anno di età. I dati riportati dai ricercatori sono sconfortanti: oltre la metà delle fumatrici che restano incinte continuano a fumare, influenzando negativamente lo sviluppo del polmone fetale, con prove funzionali respiratorie alterate alla nascita.

 

Tutto ciò porta ad un maggior tasso di ricovero in ospedale per infezioni respiratorie e una più alta incidenza di asma infantile. Sono stati seguiti due gruppi di fumatrici in gravidanza: in uno dei due erano stati somministrati 500 mg di vitamina C al giorno.

 

Entro le 72 ore dalla nascita i neonati sono stati sottoposto a prove funzionali respiratorie, che hanno dimostrato che quelli nati da donne che avevano assunto vitamina C non solo avevano una migliore funzione polmonare appena nati, ma anche una minore frequenza di respiro sibilante, anticamera dell’asma nel primo anno di età.

 

Tutto ciò dimostra che la supplementazione in gravidanza con vitamina C è un metodo semplice e a buon mercato per diminuire gli effetti della nicotina sulla funzione polmonare neonatale, ma dimostra ancora una volta l’importanza dell’astensione dal fumo tra le gestanti.

 

 

CAFFE’ CONTRO IL DIABETE

 

Secondo una metanalisi condotta dalla Harvard School of Public Health di Boston, pubblicata su Diabetes Care, il consumo di caffè con o senza caffeina riduce il rischio di diabete di tipo II e lo fa senza differenza di genere. Gli studiosi affermano che, rispetto a chi non lo beve, consumarne sei tazze al giorno abbassa del 33% le probabilità di ammalarsi.Un incremento di una tazzina al giorno di caffè normale riduce il rischio di diabete del 9%, mente la stessa quantità di decaffeinato lo abbassa del 6%, dell’effetto benefico.

 

Una possibile spiegazione di questo effetto è il ruolo svolto dall’acido clorogenico, un polifenolo alimentare naturale che fa parte dell’acido caffeico che, oltre ad essere contenuto nel caffè, lo si trova in moltissimi frutti e ortaggi.

 

La qualità principale dell’acido caffeico è la proprietà antiossidante.
I chicchi di caffè appena raccolti non tostati contengono elevate quantità di acido clorogenico che purtroppo va in gran parte perduto con la torrefazione. I ricercatori però concludono che il consumo di caffè è solo una tessera di un mosaico più complesso: berlo regolarmente in corrette quantità deve affiancarsi ad altri fattori dello stile di vita che contribuiscono alla prevenzione del diabete di tipo II, come la dieta e l’esercizio fisico.

 

 

OSTEOPOROSI E ESERCIZIO FISICO

 

Quando parliamo di osteoporosi ci riferiamo quasi sempre al calcio e alla vitamina D, ma non dobbiamo dimenticare che esistono altre molecole che intervengono nella biochimica del nostro osso. Due di queste sono la sclerosina e l’IGF-1.

 

In un lavoro pubblicato su Bone (Hinton PS, Nigh P, Thyfault J.) la dottoressa Pamela Hinton , conferma che siamo abituati a sentir parlare dei benefici dell’attività fisica sulla salute cardiovascolare, sul diabete e sul peso corporeo, ma in realtà il movimento può dare un grande supporto anche alla salute delle ossa.

 

Nello studio da lei diretto sono stati coinvolti un gruppo di 38 uomini di età compresa tra 25 e 60 anni, divisi in due gruppi, con una bassa densità ossea, che hanno seguito per un anno un programma di esercizi basati sul rafforzamento muscolare, come per esempio affondi con pesi, squat, utilizzo di kettlebell, bilancieri, ecc., oppure un programma di allenamento composto da
diversi tipi di salti.

 

Gli autori avevano già da tempo osservato che questi programmi di allenamento portano ad aumentare la densità ossea e aumentano di conseguenza alcuni marcatori del rimodellamento osseo: si sono però concentrati sul ruolo di alcuni mediatori endocrini sugli effetti finali dell’esercizio.

 

In entrambi i gruppi, dopo 12 mesi di esercizio fisico, aumentavano le concentrazioni ematiche di IGF-1, una molecola che favorisce la crescita ossea, mentre diminuivano quelle della sclerosina che quando è presente a concentrazioni elevate ha un impatto negativo sulla stessa crescita ossea.

 

Interessante la precisazione che il nuoto e andare in bicicletta fanno bene alla salute in generale, ma non a quella dello scheletro in particolare, mentre per ottenere risultati concreti contro l’osteoporosi sia in termini di prevenzione sia nell’aumento della densità ossea bisogna eseguire esercizi con i pesi o serie particolari di salti. Non bisogna però dimenticare l’alimentazione: quasi tutti gli studi epidemiologici e review ci mostrano come valori maggiori di apporti proteici (e non facciamo distinzione tra proteine animali e vegetali) siano correlati ad un aumento della mineralizzazione ossea.

 

Quindi esattamente il contrario di quanto afferma chi promuove la dieta alcalina e dice che alimenti acidi e diete iperproteiche portano ad osteoporosi. Questo avviene perché il nostro organismo di fronte alla necessità di ristabilire l’omeostasi, risponde modificando il metabolismo del calcio aumentandone l’assorbimento intestinale di circa il 10%, e diminuendo i livelli sierici di PTH, un ormone che ha proprio lo scopo di innalzare i livelli di calcio nel sangue.

 

Nel volume “OSTEOPOROSI – Guida alla prevenzione e trattamento” viene ampiamente trattata la problematica della salute delle ossa e offre una guida per rinforzare l’apparato osteo-articolare.

 

a cura del Comitato Scientifico ISSA Europe

 

 

 

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