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Radicali liberi: amici o nemici? E’ necessario conoscerli

Radicali liberi e sistemi antiossidanti

 

Un radicale libero può essere definito come un atomo (o una molecola) particolarmente instabile da un punto di vista energetico e quindi altamente reattivo. Nel tentativo di raggiungere maggiore stabilità e ritornare all’equilibrio, a livello cellulare i radicali liberi tendono a reagire con altri composti (molecole libere o inserite in strutture, come le membrane ad esempio), che diventano essi stessi nuove sorgenti di radicali.

 

Tale processo può innescare una serie di reazioni a catena che amplificano la produzione di radicali nell’organismo, perturbando le cellule e la loro integrità (sia morfologica, sia funzionale). I radicali liberi possono influenzare negativamente la funzione di varie classi di molecole biologiche come acidi nucleici, lipidi e proteine, generando quello che viene definito “stress ossidativo”.

 

I radicali liberi prodotti dall’organismo ricadono in due grandi classi: le specie reattive dell’ossigeno (Reactive Oxigen Species – ROS) e le specie reattive dell’azoto (Reactive Nitrogen Species – RNS). ROS e RNS (cosiddetti RONS), possono essere sia di origine endogena, sia di origine esogena (figura 1).

 

 

Per combattere i RONS è importante assicurarsi di soddisfare un certo fabbisogno giornaliero di antiossidanti provenienti dal cibo, come tocoferoli (vitamina E), acido ascorbico (vitamina C), carotenoidi (β-carotene in particolare) e composti polifenolici.

 

Oltre all’alimentazione, l’organismo dispone di sistemi di difesa endogeni (detossificanti) altamente efficaci e che includono antiossidanti di natura enzimatica: superossido dismutasi (SOD), catalasi (CAT) e glutatione perossidasi (GPx). In aggiunta agli enzimi, altri antiossidanti molto potenti prodotti dall’organismo sono l’acido lipoico e il coenzima Q10.

 

La condizione di stress ossidativo riflette uno squilibrio tra produzione di RONS e capacità antiossidante; tale condizione potrebbe verificarsi non solo per eccesso di radicali ma anche per ridotta capacità antiossidante (scarso apporto col cibo o sistemi detossificanti non sufficientemente efficienti).

 

Il fatto che lo stress ossidativo sia stato implicato nei processi responsabili dell’invecchiamento, dell’insorgenza di malattia e del calo delle prestazioni fisiche ha favorito la diffusione d’integratori antiossidanti sia a scopo preventivo per migliorare la salute, sia per aumentare le prestazioni.

 

L’utilizzo di questi integratori da parte delle persone non è stata, tuttavia, guidata da un vero razionale scientifico e negli anni si è assistito al consumo di “mega dosi” di antiossidanti, oggi ritenute non solo inefficaci ma anche potenzialmente dannose alla salute e alla performance. Vediamo perché.

 

 

Esercizio fisico e ROS

 

Antiossidanti e prestazione: una questione aperta nel 1978 quando fu pubblicato il primo lavoro che metteva in relazione l’attività fisica intensa e l’incremento dello stress ossidativo.

 

In campo sportivo la produzione di RONS da sempre è considerata un fenomeno biochimico “negativo” per l’atleta. Tuttavia, negli ultimi anni questo concetto è stato in buona parte modificato. Se da un lato è chiaro che una produzione eccessiva di RONS può sviluppare problematiche cellulari coinvolte nella genesi della fatica muscolare, dall’altro si è capito che un certo livello di stress ossidativo serve da stimolo per mantenere efficienti le proprie difese antiossidanti ed ha una funzione importante nei meccanismi di adattamento all’esercizio fisico.

 

Attività aerobiche e anaerobiche sono entrambe generatrici di RONS (figura 2).

 

 

Nelle attività di endurance l’aumento dello stress ossidativo è da ricercare nell’incremento del consumo d’ossigeno, mentre il principale meccanismo di produzione di RONS negli allenamenti di forza sembra coinvolgere i fenomeni d’ischemia/riperfusione che caratterizzano le contrazioni muscolari contro resistenza.

 

Il danno muscolare post-esercizio sarebbe ulteriore causa di RONS, a loro volta promotori del danno stesso. Sulla formazione dei RONS in seguito ad esercizio intenso i risultati delle ricerche sono spesso in disaccordo tra loro.

 

Esistono dati contraddittori sui marker specifici del danno ossidativo in relazione all’attività svolta (perossidazione lipidica, ossidazione proteica e danno al DNA).

 

Le valutazioni dei cambiamenti della capacità antiossidante esercizio-indotta, attraverso la misurazione di enzimi (SOD, CAT, GPx) e/o di vitamine (E, C), non sono riuscite negli anni ad arrivare a conclusioni univoche.

 

Per ogni parametro misurato, autori osservano incrementi, altri decrementi, qualcuno nessun cambiamento. L’utilizzo di antiossidanti, verificato in molti lavori allo scopo di ridurre l’entità del danno muscolare post-esercizio, ha ulteriormente complicato le cose e reso ancor più eterogeneo l’insieme dei dati.

 

Alcuni studi mostrano effetti positivi derivanti dall’uso delle principali sostanze antiossidanti (vitamina C, vitamina E, N-Acetilcisteina (NAC), CoQ10), altri nessun effetto o effetti negativi. Lo studio sulla formazione e liberazione di radicali in relazione a vari livelli di attività fisica è dunque argomento ancora aperto e di estrema complessità.

 

Questo da un punto di vista pratico rende veramente difficile stabilire nel tempo se un’integrazione con antiossidanti possa avere esito positivo o negativo.

 

 

Adattamenti mediati dai ROS

 

Studi degli ultimi decenni hanno fornito uno scenario complesso sul ruolo dei RONS, mostrando come questi siano prodotti metabolici fondamentali per innescare diverse vie di segnalazione che regolano i principali meccanismi di adattamento all’esercizio fisico.

 

I RONS non solo promuovono la sovra-regolazione degli enzimi antiossidanti endogeni ma anche altri importanti processi legati al miglioramento della prestazione fisica: ingresso del glucosio nei muscoli scheletrici, biogenesi mitocondriale, sviluppo della forza e dell’ipertrofia muscolare.

 

Il tentativo sperimentale di abolire la presenza di RONS nell’organismo (inibendo la loro produzione) mostra come questo possa rimuovere un’importante via adattativa di segnalazione, potenzialmente in grado di ridurre salute e prestazione fisica a lungo termine (figura 3).

 

 

Per fare un esempio. Un tipico adattamento che si può osservare in soggetti dediti ad attività di endurance (per esempio la corsa) consiste nell’aumento del numero di mitocondri nei muscoli degli arti inferiori (cosiddetta mitocondrio-genesi), necessari per poter aumentare il consumo d’ossigeno e migliorare la prestazione sulle lunghe distanze.

 

La produzione di RONS è uno degli “stimoli chiave” della biogenesi mitocondriale, attivando una serie di fattori (PGCα1, NRF1-2, mtTFA) che regolano i processi di trascrizione e traduzione del DNA mitocondriale.

 

A parità di produzione di ATP più è elevato il numero di mitocondri disponibili, più il ritmo di lavoro per singolo mitocondrio potrà essere inferiore, riducendo la produzione di radicali mitocondriali (ROS in particolare) e conseguentemente dello stress ossidativo.

 

Un meccanismo perfetto di adattamento alla corsa. Ridurre pesantemente la produzione di RONS (con un uso non congruo di antiossidanti) porterebbe alla compromissione di tali meccanismi, con potenziali effetti negativi sul rendimento atletico.

 

Il PGCα1 (coattivatore 1 del proliferatore gamma del perossisoma) oltre a stimolare direttamente la produzione di SOD, GPx e CAT è anche coinvolto in altri processi adattativi che riguardano il rimodellamento del muscolo scheletrico e il metabolismo energetico.

 

I RONS sono, inoltre, implicati nel miglioramento della sensibilità all’insulina sia in acuto, sia in cronico. A tal proposito, uno studio di Loh e collaboratori (2009), ha dimostrato che il miglioramento della sensibilità insulinica post-esercizio non si osserva in animali trattati con antiossidanti.

 

Risultati simili sono stati suggeriti anche nell’uomo da Trewin e collaboratori (2015). Importanti effetti a lungo termine mediati dai RONS sono stati studiati a livello muscolare.

 

Oltre a promuovere una maggiore concentrazione dei trasportatori del glucosio nel muscolo (GLUT4) a riposo e quindi favorire una maggiore capacità di controllo metabolico sull’omeostasi glicemica, i radicali hanno anche un ruolo importante nei processi d’ipertrofia muscolare.

 

La produzione di radicali in seguito a contrazione muscolare, indurrebbe la fosforilazione del recettore dell’IGF-I, promuovendo a cascata eventi che portano all’attivazione di mTOR (fattore chiave nella regolazione della sintesi proteica).

 

Questo è stato confermato da uno studio di Handayaningsih e collaboratori (2011) in cui si evidenzia come il trattamento con antiossidanti inibisca tale via di segnale, riducendo la risposta ipertrofica.

 

Pertanto le specie radicaliche sembrano essere importanti per la crescita del muscolo scheletrico IGF-I mediata e la supplementazione con antiossidanti, soprattutto se ad alti dosaggi, rischia di ridurre gli adattamenti muscolari a lungo termine, riducendo le risposte ipertrofiche.

 

Sembra, infine, che esercizio fisico e RONS (insieme) abbiano un’azione attivatoria sinergica nei confronti delle cellule satelliti: le cellule staminali del muscolo scheletrico, stimolate a proliferare in seguito ad allenamenti (soprattutto contro resistenza) e fortemente implicate nei meccanismi alla base dell’ipertrofia.

 

Studi in vitro, infatti, hanno messo in luce come la proliferazione delle cellule satellite possa aumentare con l’esposizione a moderate quantità di ROS e rallentare drammaticamente ad alte concentrazioni.

 

Questo spiegherebbe da una parte il ruolo adattativo dei radicali legato all’esercizio correttamente somministrato, dall’altra il declino muscolare dovuto all’età, caratterizzato da una perdita numerica e di funzione delle cellule satelliti, quando fisiologicamente il sistema antiossidante inizia a perdere efficienza e porta a peggiorare lo stress ossidativo.

 

 

ROS: pro o anti-aging?

 

Nel 1956, il prof. Harman (medico e ricercatore dell’università della California) pubblicò una delle prime teorie sui radicali liberi, considerati come causa principale del declino funzionale dell’organismo e correlati ai processi responsabili dell’invecchiamento.

 

Nelle decadi successive, molti di questi aspetti sono stati chiariti, e si è compreso come la relazione tra i livelli di RONS e invecchiamento non sia cosi diretta e lineare: come per l’adattamento all’allenamento, RONS a dosi elevate esercitano effetti dannosi sull’integrità dei tessuti e la loro funzione, ma l’esposizione delle cellule a dosi più basse esercita effetti positivi e protettivi sulla salute, specie a lungo termine.

 

 

Questo tipo di risposta adattativa, non lineare ma bifasica, nei confronti di sostanze potenzialmente dannose viene chiamato in generale “ormesi”.

 

Nello specifico dei mitocondri si parla di mito-ormesi, poiché i radicali (ROS in particolare) prodotti dai mitocondri, soprattutto durante e dopo attività fisica, costituiscono una necessaria “fonte di stress” in grado di promuovere le risorse adattative dell’organismo, migliorandole nel tempo. Questo purché il livello di attività fisica sia opportunamente dosato (per tipologia, intensità, durata e frequenza).

 

Oggi sappiamo che avere una buona capacità di consumo d’ossigeno (VO2max), migliorabile solo attraverso la pratica regolare di esercizio fisico, si associ a un ridotto rischio di sviluppo di malattie legate allo stile di vita, tra cui patologie cardiovascolari, metaboliche, neurodegenerative e cancro.

 

A valori maggiori di VO2 max corrispondono anche maggiori produzioni di ROS da parte dei mitocondri, con conseguente aumento delle risposte detossificanti endogene.

 

La produzione durante la vita di basse quantità di ROS/RNS sembra poter essere dunque una delle migliori strategie anti-aging, perché “allena” i sistemi fisiologici antiossidanti dell’organismo a gestire lo stress ossidativo che tipicamente incrementa con l’età, migliorandone la resilienza.

 

Ecco perché i tentativi di sopprimere la produzione di RONS, come strategia per ritardare l’invecchiamento nell’uomo, hanno dato risultati deludenti e/o spesso deleteri.

 

Tenendo conto di quanto descritto, bisogna considerare con molta cautela l’utilizzo d’integratori a base di antiossidanti (dei quali parleremo in un prossimo articolo).

 

Come per ogni cosa, la strategia futura non sarà trovare la “regola per tutti” ma riuscire a personalizzare gli interventi, considerando l’età del soggetto, lo stato nutrizionale, il livello di allenamento. Per ora allenatevi e fate allenare i vostri clienti secondo scienza e coscienza! Questo rimarrà sempre il miglior strumento antiossidante.

 

 

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a cura di Giuseppe Cerullo – PhD in Scienze delle attività motorie e sportive, Università degli Studi di Napoli

 

Massimo Negro – PhD Ambulatorio di Nutrizione Clinica e dello Sport, Centro di Medicina dello Sport Voghera, Università di Pavia

 

e Giuseppe D’Antona – PhD Direttore Sanitario e della Ricerca Scientifica, Centro di Medicina dello Sport Voghera, Università di Pavia

 

 

 

 

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