La relazione tra attività fisica ed ipertensione arteriosa si inserisce nel quadro più generale della valutazione dei fattori di rischio cardiovascolari. Studi epidemiologici hanno infatti evidenziato come uno stile di vita sedentario influisca negativamente sulla funzione cardiaca mentre l`attività fisica ha un effetto deterrente su detta patologia. In effetti nei soggetti allenati si ha un rimodellamento favorevole dell`intero profilo di rischio, che include ad esempio: la riduzione del peso corporeo, l’abbassamento della colesteromia totale, con specifico aumento della frazione HDL (il colesterolo buono) e un miglioramento della condizione diabetica per coloro che soffrono di questa patologia.
Due aspetti particolari della relazione tra attività fisica e patologia cardiovascolare meritano di essere sottolineati:
- 1° il miglioramento del profilo di rischio può essere ottenuto a qualsiasi età anche avanzata quando si svolge un`attività fisica appropriata;
- 2° gli effetti benefici di un`attività fisica scompaiono rapidamente quando si interrompe, tanto che la mortalità negli ex atleti non risulta significativamente diversa da quella che si riscontra nei soggetti sedentari (l`attività fisica va quindi praticata con costanza e non permette di “vivere di rendita”).
Numerose osservazioni hanno evidenziato inoltre un effetto positivo delle attività di tipo aerobico sui livelli pressori, cioè l’evidente relazione tra pratica sportiva e pressione arteriosa. Le ricerche cliniche mirate a valutare l`effetto dello sport sui valori pressori hanno messo infatti in evidenza come l`allenamento di tipo aerobico provochi nell`iperteso una riduzione di circa 10 mmHg. della pressione arteriosa, sia sistolica sia diastolica (cioè massima e minima). Una ulteriore conferma di tali osservazioni deriva dall’aver constatato, mediante un monitoraggio di 24 ore, che il calo dei valori pressori avvene soprattutto durante le ore di diurne cioè durante quel periodo in cui l`organismo e in attività.
Lewis e Coll dell’lntenational Board of Medicine riscontrarono, già nel 1979, che tre sedute d’allenamento alla settimana, della durata di 45 minuti ciascuna, erano sufficienti a ottenere un buon calo pressorio, mentre programmi d`allenamento più intensi comportavano ulteriori ma più modesti benefici se rapportati all’intensità del lavoro svolto.
Pertanto lo sforzo fisico dovrebbe essere graduato in modo da provocare un aumento della frequenza cardiaca di circa il 70% rispetto a quella teorica massimale. La riduzione pressoria viene determinata da una caduta delle cosidette “resistenze periferiche”, cioè di quella componente vascolare determinante i valori di pressione minima; inoltre vi è una riduzione della frequenza cardiaca a riposo e un aumento della gittata, che è la quantità di sangue che il cuore “pompa” ad ogni contrazione.
Questi adattamenti hanno dunque l`effetto di ridurre il lavoro cardiaco e di migliorare l` ossigenazione dei tessuti periferici. Vi sono complessi meccanismi che favoriscono l’instaurarsi dei risultati sopra descritti: vi partecipano i recettori sensibili all’effetto adrenergico, cioè vasocostrittivo, il calo ponderale e quindi la diminuzione del pannicolo adiposo, la riduzione dell’attività della renina (componente importantissima nella biochimica dell`effetto ipertensivo), nonchè l`arricchimento in fibre muscolari lente (o rosse) con l’apertura di nuovi capillari nell` apparato motorio. A questo proposito, per eliminare una diffusa quanto errata convinzione che classifica il body building come sport anaerobico, vale osservare che questo, se praticato con carichi di lavoro medi e con limitati tempi di recupero – entro i 60 secondi – , presenta i medesimi principi dell’attività aerobica, al pari della corsa, del nuoto, dello sci ecc. Al contrario non risultano utili tutte quelle attività che richiedono sforzi brevi ed intensi che non contribuiscono ad aumentare la capacità aerobica e provocano invece aumenti cospicui e repentini della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca.
In linea generale e utile ricordare che l’insorgenza di difficoltà respiratorie o di sintomi muscolari (crampi, anomala pesantezza) riferiti a un accumulo di acido lattico, indicano che lo sforzo sostenuto è troppo intenso. Parimenti, nell`iperteso è ovvia la necessità di un graduale incremento dell`attività fisica fino ai livelli prestabiliti; sedute iniziali di non più di 20 minuti saranno sufficienti, con progressivi aumenti fino allo standard indicato.
Due allenamenti alla settimana rappresentano il minimo per ottenere significativi benefici, anche se il ritmo ottimale resta un giorno di allenamento alternato a uno di riposo. Da ultimo va ricordata la necessità di un`accurata valutazione medica prima di intraprendere un programma di attività fisica. Non vanno dimenticati infatti i rischi dell’esistenza di patologie cardiovascolari.
Questo significa che nel soggetto “decondizionato” da un’ inveterata sedentarietà, il programma di allenamento vero e proprio va preceduto da una fase di ricondizionamento, tesa al recupero di capacità fisiologiche elementari, per mezzo, ad esempio, di ginnastica respiratoria.