Parliamo di fitness

Sembra quasi un ossimoro accostare il pensiero di fitness alla mancata efficienza fisica, ma è la realtà con la quale ci dobbiamo confrontare quotidianamente, specie in questo lunghissimo periodo di pandemia. Siamo “bombardati” da ogni dove da inviti pressanti a fare dell’attività fisica, anche se poi la stessa è intesa in modo differente e spesso sostanzialmente contraddittorio.

 

Ci sono alcune realtà che sono appena sfiorate da un onesto approfondimento e critica: in primis la carenza nei programmi universitari che portano alla laurea in medicina di affrontare il movimento non solo come atto fisiologico complesso ma come elemento fondamentale inserito in uno stile di vita finalizzato al benessere e al mantenimento dello stesso.

Se volessimo trasformare in una rappresentazione teatrale il rapporto tra il nostro corpo e la nostra mente si potrebbe pensare che la salute è la vita nel silenzio degli organi, mentre nella malattia invece gli organi parlano e con il loro rumore disturbano le voci dell’efficienza fisica che sono rivolte al vivere “libero” dell’uomo.

Quest’ultimo può reagire a quest’opera di disturbo in diversi modi: minimizzando, negando o cercando di far fronte ai disturbi stessi, ma se questi persistono o peggiorano possono diventare fonte di ansia e alterazione del proprio stato esistenziale ed esperienzale. È una situazione intima, talmente indefinibile che la si può paragonare ricorrendo ad un esempio di linguaggio narrativo e metaforico.

 

In Metamorfosi, Kafka narra la storia di Gregor Samsa che una mattina si sveglia trasformato in un enorme insetto. La ripugnanza che desta nei familiari lo induce a chiudersi nella sua stanza, assistito da una vecchia cameriera. Gregor desidera partecipare alla vita della famiglia e a quella sociale ma la sua figura innesca orrore e l’allontanamento da parte degli altri, costringendolo di fatto a rimanere segregato. Rinnegato dai suoi familiari, si lascia morire di inedia ed è infine spazzato via dalla cameriera mentre i suoi familiari, sollevati dall’incubo, escono a passeggio.

 

Nel testo di Kafka è la contrapposizione uomo-animale a riflettere quella uomo-malattia. L’elemento fondamentale è la trasformazione: da uno stato di benessere la persona entra in uno stato di mancata salute che crea disagio. Questo disagio si trasforma in una serie di cambiamenti nel rapporto tra il mondo-vissuto e il corpo-vissuto. Di fatto non essere in forma ha un impatto sulla libertà e sulla coscienza del soggetto non soltanto quando interferisce completamente nelle capacità decisionali, ma per il disorientamento, il senso di precarietà e instabilità che essa sempre insinua nel vivere quotidiano.

 

La scienza medica cerca di risolvere questo problema attraverso processi farmacologici, chirurgici e, tranne in pochi casi, psicologici. Come abbiamo già ricordato a suo tempo, “l’attività fisica” che viene ampiamente consigliata dalla classe medica non è altro che l’esecuzione delle attività della vita quotidiana (ADL): i bambini giocano, si va a fare la spesa, si riassetta casa, si salgono le scale non utilizzando l’ascensore.

 

movimento

 

Ma, come ben si vede, è un grumo motorio informe e senza regole. Il passaggio successivo è modulare l’attività in modo ripetibile e finalizzato: in questo caso si ha l’ingresso dell’esercizio. Ma anche l’esercizio ha bisogno di un percorso condiviso e finalizzato ad ottenere dei risultati: qui si innesta il progetto dell’allenamento, cioè la metodologia dell’esecuzione degli esercizi dell’attività fisica.

 

Con rare eccezioni sono ben pochi i medici che “prescrivono” l’attività fisica dando precise indicazioni sui limiti e la metodologia della stessa. Ma anche i laureati in scienze motorie, depositari dell’arte del movimento, si devono scontrare con il concetto di specificità.

Un conto è allenare una Pellegrini sui 200 stile libero, un conto una Cagnotto nel salto dal trampolino: eppure siamo sempre nel campo dell’attività natatoria. Ma ancora più complesso è applicarsi all’allenamento di coloro che scalano gli 8000 oppure corrono il Tour de France. Ci si trova quindi di fronte alla necessità di non entrare nel tunnel della “tuttologia”, pensando di poter affrontare qualsiasi problema senza dover pagare dazio.

 

Ecco che quindi si ripropone il concetto di fitness come stile di vita, come somma di elementi che vanno dalla corretta alimentazione al movimento opportuno, dalla presa di coscienza delle proprie necessità di benessere all’accoglimento di consigli educazionali rivoltici da persone competenti.

 

 

Non c’è nulla di “sportivo” in tutto questo: le nostre performance sono legate indissolubilmente al concetto di efficienza fisica priva dei pericoli, formalmente accettati, derivanti da una prestazione sportiva che per definizione può essere causa di effetti collaterali legati alla prestazione stessa.

 

In questo senso i continui richiami ad una efficienza fisica, libera dalle malattie, appaiono come un bisogno essenziale purché ci si liberi dalla sterilità di quell’etica che vede la salute come assenza di malattia, mentre al contrario si deve enfatizzare il principio dell’autonomia personale, della non dipendenza, dell’allontanamento più a lungo possibile dalla fragilità che accompagna le avanzate decadi di vita.

Non dobbiamo altresì dimenticare il marketing sociale, cioè l’utilizzo di principi e tecniche del marketing per indirizzare i destinatari ad accettare, rifiutare, modificare o abbandonare un comportamento in modo volontario, allo scopo di ottenere un beneficio sia per il singolo e a cascata per il gruppo o la società nel suo complesso.

 

Tale marketing è svolto sia dal privato che dal pubblico e si propone di iscrivere la salute nell’agenda politico-sociale, volendo incentivare la diffusione di una nuova cultura dove il wellness è sinonimo, di diritti, doveri, responsabilità individuali e pubbliche.

 

 

Ciò sarebbe definibile corretto se nel complesso il social marketing, tramite la pubblicità, oltre a coinvolgere l’intervento politico, influenzasse positivamente le scelte individuali e avesse un ruolo significativo nella contrazione o nella dilatazione etica di interi comparti produttivi. Ciò riconduce a due epifenomeni dell’ambiguità di un marketing dove, di fatto, convivono aspetti sociali e commerciali: reali o presunte proprietà di prodotti-servizi quali viatici alla salute-benessere-felicità.

 

In realtà si crea un dialogo tra il core business di aziende che integrano attenzioni ambientali e sociali volendo dialogare con i clienti e i finanziatori, volendo apparentemente contribuire alla sostenibilità degli affari nella comunità.

Spesso vediamo come questi processi non siano disinteressate filantropie ma obiettivi commerciali ben precisi che creano valore economico-finanziario. Ecco perché siamo colpiti dall’intrinseca contradditorietà di alcune campagne sociali che vorrebbero indurre un miglioramento qualitativo della vita della società ma che nascondono, e neppure troppo, la mancata trasparenza e la sincera presa in carico delle necessità dei soggetti verso cui sono rivolte.

 

Questo non significa demonizzare il marketing, né l’attività medica, né l’attività delle scienze motorie, ma riflettere sul valore aggiunto che il fitness produce come finalità ontologica destinata alla prevenzione e financo alla cura, la spinta concreta verso uno stile di vita consono con l’età e l’ambiente in cui si vive, la necessità di essere seguiti da personale preparato ed esperto.

 

 

Ciò si ottiene muovendosi con un denominatore comune, ovvero che la questione della salute è fondata sull’eliminazione dei fattori di rischio, la prevenzione e come ultimo brand l’attività fisica costruita e adattata alla singola persona.

 

Il che significa specificità dell’intervento, alternativa essenziale alla standardizzazione che purtroppo, anche in coincidenza con la pandemia, impera sui social e online.

 

Concludiamo questo breve escursus rilevando ancora una volta come, in un percorso fitness-dipendente, la classe medica non sia adeguatamente preparata a fornire indicazioni in tal senso, come altre professioni sanitarie siano legate al concetto di riabilitazione dalla malattia e non siano in grado di fare il salto di qualità verso la quotidiana efficienza e come gli esperti nell’attività motoria siano legati al concetto di performance e quindi di rischio accettabile di infortunio, che è lontanissimo dal criterio di benessere e di sicurezza che compenetra appunto il mondo del fitness.

 

Come dice il governatore del Veneto Zaia, ragionateci sopra.

 

 

 

a cura di Silvano Busin –  Direttore Scientifico ISSA Europe

 

 

 

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