Anelli magici che donano una vita infinita, pozioni con ingredienti difficilissimi da reperire, oppure pietre magiche che arrestano i processi di senescenza, ogni epoca ha avuto le sue speranze per prolungare la vita all’infinito, o quantomeno oltre i limiti dell’epoca stessa: se oggi un commerciante medioevale sapesse che un cittadino europeo moderno ha una speranza di vita media attorno agli ottant’anni, con la sua misera speranza di vita di appena quarantacinque, certamente sarebbe convinto che noi abbiamo scoperto la pietra filosofale!

 

In effetti, un piccolo orologio cellulare che scandisce con i suoi battiti il tempo della nostra vita, ce l’abbiamo tutti. Noi, le altre scimmie e tutti gli animali, compresi anche alcuni fortunati crostacei di cui vi parlerò in seguito. Il nostro piccolo orologio cellulare lo troviamo alle estremità di tutti i nostri cromosomi. E’ proprio lì che si trova tutto il nostro tempo, letteralmente. Bisogna sapere che non tutto il nostro DNA codifica per le proteine, esattamente come non tutte le pagine di un libro raccontano una storia: esistono pagine vuote, come la seconda o la quarta di copertina, pagine bianche o che riportano dati editoriali, oppure la biografi a dell’autore, che nulla hanno a che fare con la storia narrata all’interno del libro. Allo stesso modo si è scoperto che una parte non indifferente del DNA non “significa” nulla: ovvero non vi sono scritte istruzioni per sintetizzare nessuna proteina

 

Questo vuol dire che i tratti non codificanti non servono a nulla? Esattamente il contrario: sono fondamentali! Nel lontano 1961, l’anatomista Leonard Hayflick dimostrò che colture di cellule fetali umane, cresciute in condizioni controllate di laboratorio, si dividevano tra le quaranta e le cinquanta volte: dopo cinquanta eventi mitotici successivi, le cellule entravano in uno stato di senescenza cellulare e sembravano incapaci di replicarsi ulteriormente. Questo incuriosì lo scienziato, che ripetè l’esperimento con altre popolazioni cellulari: anche i fibroblasti umani coltivati si dividevano per sessanta volte, per poi morire e molte altre cellule facevano lo stesso. Tale limite venne chiamato Soglia di Hayflick e occorsero parecchi anni di ricerche per capire il motivo di tale strana coerenza interna nel numero di divisioni cellulari di popolazioni cellulari così diverse tra loro.

 

Si scoprì che tutti i cromosomi sono infatti provvisti di telomeri, estremità del cromosoma composte da DNA non codificante, che funge da punto di partenza per la duplicazione del cromosoma stesso durante ogni evento mitotico di divisione cellulare. Ma ad ogni duplicazione, ogni volta che il DNA viene copiato, i telomeri perdono…un pezzetto: in altre parole, una sezione del telomero viene distrutta e non più ricreata ad ogni mitosi. Questo è il ticchettìo inesorabile del nostro piccolo orologio biologico, quando la sezione di telomero rimasta è troppo corta per permettere una ulteriore duplicazione, la cellula interessata entra nello stato di senescenza cellulare, che la porterà a perdere efficienza e morire in tempi variabili e correlati con la sua specializzazione funzionale: cellule longeve come quelle che compongono il tessuto nervoso moriranno più lentamente, rispetto a cellule che compongono tessuti a più rapido tasso di sostituzione, ma una volta che le cinquanta divisioni previste sono state compiute, nulla sembra poter riportare indietro le lancette del piccolo orologio. Tuttavia si scoprì che non tutte le cellule soggiacciono a questo destino: le  cellule della linea germinale, i precursori degli ovociti e degli spermatozoi e le cellule staminali sono in grado di esprimere un enzima, chiamato telomerasi, che è in grado di ricostruire ed aggiungere i frammenti di DNA non codificante alle estremità del telomero usurato: questo rendeva immortali alcune cellule, ma non la maggior parte! Tutte le cellule somatiche, quelle che compongono i nostri organismi, pur avendo le istruzioni per sintetizzare questo enzima nel loro DNA, non sembrano in grado di sintetizzarlo autonomamente, condannandosi così alla mortalità e, al tempo stesso, condannando noi, che di tali cellule siamo fatti! Infatti, l’accumularsi di un numero sempre maggiore di cellule senescenti in un tessuto, e la loro conseguente morte, determina
uno scadimento nelle prestazioni del tessuto stesso, ma non solo: esistono evidenze cliniche che anche i tessuti vicini risentono della senescenza del tessuto adiacente e il processo di invecchiamento sembra propagarsi come un incendio in un campo. Ma non sempre va così, alcune cellule somatiche sembrano…imparare a sintetizzare l’enzima telomerasi per riparare i danni ai propri cromosomi e garantirsi una innaturale lunga vita: sono le cellule tumorali.

 

Molte cellule neoplastiche sono in grado di replicarsi in modo indefinito, al punto che vi sono in commercio linee cellulari neoplastiche che vengono mantenute in vita a scopo di studio (per mettere a punto farmaci efficaci, bisogna coltivare le cellule-bersaglio e studiarne l’efficacia), queste cellule sono sopravvissute di molti decenni ai loro sfortunati proprietari, ormai morti e dimenticati: una forma di immortalità, certo, ma non quella che desidereremmo! In realtà negli ultimi anni l’espressione dell’enzima telomerasi e la velocità con cui i telomeri vengono danneggiati viene studiata in modo molto approfondito proprio perché, come nelle fiabe, l’immortalità si rivela spesso una oscura arma a doppio taglio: se da un lato studiare come disattivare la produzione di telomerasi nelle cellule tumorali potrebbe portare alla cura definitiva contro il cancro, dall’altra, capire come trattare le popolazioni di cellule senescenti con biofarmaci o farmaci biotecnologici che riparino i telomeri, potrebbe allungarci la vita e curare una serie di malattie degenerative, come il tristemente famoso morbo di Alzheimer.

 

Esperimenti di infezione di cellule senescenti di ratto con virus che introducono nel DNA delle cellule invecchiate il tratto di DNA che codifica per la telomerasi, hanno permesso di far regredire le cellule dallo stato di senescenza, promuovendo una nuova replicazione mitotica, senza provocare crescita tumorale: un inizio incoraggiante. Studi del genere hanno valso a Elizabeth Blackburn, Carol Greider e Jack Szosek il premio Nobel nel 2009.

 

Altri studi molto interessanti sono quelli che mettono in relazione la velocità dei danni ai telomeri con stress e stili di vita: visto che per ora non siamo in grado di riportare indietro le lancette del nostro piccolo e inesorabile orologio biologico in modo del tutto sicuro, perché non provare a capire se esiste un modo di far sì che ogni singolo rintocco avvenga più lentamente?

 

uovo

Un paio di studi interessanti ci vengono in aiuto: gli astici americani (Homarus americanus), grossi crostacei che (se non finiscono in pentola) mostrano longevità sorprendenti per animali di taglia medio-piccola, sembrano avere tessuti somatici pienamente differenziati. le cui cellule esprimono la telomerasi per tutta la durata della loro lunga vita, uno studio di Klapper e colleghi dimostra che questi animali esprimono alti livelli di telomerasi in tutti i loro tessuti, non soltanto nelle cellule della linea germinale e nelle staminali come avviene nei mammiferi. Questo è collegato alla loro capacità di continuare a crescere per tutta la durata della loro vita, e non soltanto durante le fasi giovanili e vivere a lungo: questi animali sono la prova che la telomerasi può essere presente a livello somatico senza che vi sia una stretta correlazione con il cancro. Una seconda linea di studi prende in esame gli effetti delle condizioni ambientali con il rallentamento dei processi di senescenza: uno studio sui topi esposti a condizioni stressanti rispetto ad animali di controllo che erano stati assoggettati a uno stile di vita più conforme alle necessità della specie,
mostrarono che i topi “stressati” evidenziavano livelli di telomerasi più bassi, persino nelle popolazioni di cellule staminali in cui tali livelli dovrebbero restare alti, in altri termini, condizioni di vita non sane e alti livelli di stress sembrano essere in grado di rendere meno efficiente il processo di riparazione dei telomeri anche nelle popolazioni cellulari che sono in grado di continuare a farlo per tutta la vita.

 

Questa evidenza nel topo è stata ripresa in un interessante studio condotto sugli esseri umani dalla summenzionata Nobel Elizabeth Blackburn e dai suoi colleghi, dal titolo “Accelerated telomere shortening in response to life stress” che sottolinea come lo stress e le inadeguate condizioni di vita moderne (insufficiente riposo notturno, insufficiente attività fisica, stress psicologico e ansia) sia significativamente correlato con lo stress ossidativo cellulare, con una ridotta attività della telomerasi e con un significativo accorciamento dei telomeri. Un campione significativo di donne che dichiaravano di essere sottoposte ad alti livelli di stress psicologico, all’analisi cromosomica mostravano telomeri più corti di quelle che dichiaravano di tollerare bassi livelli di stress. E il loro piccolo orologio interno era parecchio più indietro rispetto a quello delle ragazze stressate: fino a una decade di invecchiamento cellulare in meno!

 

Ecco di cosa si parla quando si parla di rallentare il nostro piccolo, inesorabile orologio interno. Approfondiremo questo tema durante la Convention ISSA.



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