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Con l’avanzare dell’età, l’organismo umano va incontro a una progressiva involuzione fisiologica che interessa numerosi sistemi: muscolare, metabolico, neurologico e immunoendocrino. Uno dei fenomeni più rappresentativi del processo di invecchiamento è la sarcopenia, una condizione clinica oggi riconosciuta come patologia a sé stante e codificata anche a livello diagnostico.
Secondo la definizione aggiornata dell’EWGSOP2 (European Working Group on Sarcopenia in Older People, 2019–2024), la sarcopenia è caratterizzata da una riduzione della forza muscolare, associata a bassa massa muscolare e a scarsa performance fisica. Non è quindi sufficiente valutare il volume del muscolo: è necessario integrare parametri di funzionalità (come la velocità del cammino o la capacità di eseguire attività quotidiane) per formulare una diagnosi completa.
L’interesse verso questa condizione è cresciuto significativamente negli ultimi anni, anche alla luce della sua alta prevalenza nella popolazione anziana. I dati epidemiologici più recenti stimano che la sarcopenia in tutto il mondo colpisca mediamente tra il 10% e il 20% degli adulti sopra i 60 anni, con un’incidenza che può superare il 50% negli ultraottantenni. La sua presenza è associata a un aumento documentato del rischio di cadute, disabilità, ospedalizzazioni, perdita di autonomia e mortalità.
Riconoscere precocemente la sarcopenia e attuare strategie di prevenzione e trattamento — basate su esercizio fisico, alimentazione e interventi mirati — rappresenta quindi una priorità clinica e sociale, soprattutto in un contesto di progressivo invecchiamento demografico.
Bioenergetica e invecchiamento
Diverse evidenze sperimentali sembrano dimostrare come un aumento del dispendio energetico giornaliero collegato alle diverse attività quotidiane (Activity Energy Expenditure, AEE) possa determinare un significativo miglioramento delle curve di sopravvivenza.
Risulta quindi intuibile come la riduzione età-correlata del consumo energetico totale (Totale Energy Expenditure, TEE) e dell’AEE, in particolare, rappresentino un elemento di primo piano nel considerare l’evoluzione del processo di invecchiamento. E questo anche in termini di precocità di insorgenza di patologie potenzialmente gravi.
Sappiamo che una significativa riduzione del TEE ha inizio a partire dalla quarta decade di vita per poi proseguire negli anni successivi.
Tenendo in debita considerazione il fatto che la massa degli organi ha una relazione generalmente lineare con il consumo energetico, è giocoforza che la riduzione di massa di ciascun organo, legata all’aging, possa contribuire a questo decadimento.
Calcolando il rapporto esistente tra massa degli organi, massa corporea e le modificazioni morfo-funzionali età correlate, emerge che il maggior contributo alla diminuzione progressiva di TEE e AEE è da attribuire alla perdita di massa muscolare, ovvero alla sarcopenia.
Sarcopenia e decadimento muscolare nel processo di invecchiamento
Il termine sarcopenia, (σάρξ, carne; πενια, perdita) racchiude in sé il concetto di invecchiamento fisiologico, di riduzione delle dimensioni muscolari e di deterioramento della funzione tessutale. La sarcopenia è legata a numerose cause (Figura 1) e conduce in tempi più o meno lunghi a una perdita della massa muscolare, sia per la perdita numerica delle fibre, sia per la riduzione della sezione delle fibre rimanenti. Il fenomeno interessa tutte le componenti fibrali del muscolo anche se colpisce prevalentemente le fibre di tipo II. Esse sono responsabili dell’attività contrattile a elevata produzione di forza e reclutate ogni qualvolta sia richiesto un impegno muscolare di tipo esplosivo/anaerobico.
Inoltre, con l’età diminuisce anche il numero delle cellule satelliti, responsabili della rigenerazione post-traumatica delle fibre muscolari. E questo contribuisce ulteriormente alla perdita di massa muscolare. La perdita di massa muscolare, evidenziabile come diminuzione quantitativa della componente miofibrillare totale, comporta una riduzione della forza assoluta sviluppabile.
Quali sono le conseguenze della sarcopenia
In altri termini, il muscolo sarcopenico è più piccolo e più debole rispetto a un muscolo normale.
Oltre a variazioni di carattere quantitativo, il muscolo sarcopenico va incontro a variazioni qualitative della sua funzione.
Con l’invecchiamento (e la sarcopenia), infatti, il muscolo scheletrico subisce processi di denervazione irreversibili a causa di una riduzione del numero dei motoneuroni spinali.
I fenomeni di denervazione interessano soprattutto le fibre nervose a scossa rapida che innervano le fibre muscolari di tipo II. Per cercare di limitare il fenomeno, l’organismo mette in atto processi di “re-innervazione” che normalmente coinvolgono fibre nervose a scossa lenta adiacenti a quelle FT andate perse. Ciò, se da un lato rallenta l’atrofia muscolare correlata alla denervazione, dall’altro modifica i pattern muscolari di contrazione, portando le fibre muscolari di tipo II reinnervate verso profili funzionali ST.
Le unità motorie “rimodellate” producono, quindi, meno forza rispetto a quelle originarie, con minor efficienza, precisione e potenza di movimento.
Nonostante la sarcopenia non possa essere arrestata nell’invecchiamento dall’attività fisica, senza dubbio la scarsità di movimento e soprattutto l’assenza di carichi di forza sul muscolo ne accelerano la progressione.
L’inattività aumenta il catabolismo proteico, riduce la capacità di reclutamento muscolare e facilita i fenomeni di denervazione descritti, conducendo i soggetti a un più rapido declino delle abilità motorie (Figura 2).
Sarcopenia e meccanismi cellulari dell’invecchiamento
L’omeostasi del muscolo scheletrico è garantita da un continuo turnover aminoacidico attraverso processi di sintesi e degradazione proteica. Tali processi sono regolati, in modalità integrata, da numerose vie di segnale subcellulari che coinvolgono mediatori chimici, ormoni e fattori nutrizionali (soprattutto di natura aminoacidica) (Figura 3).
L’evoluzione temporale della sarcopenia è legata a una progressiva predominanza delle vie di segnale che controllano i fenomeni catabolici (degradazione), con un’attenuazione dei processi di sintesi proteica e dei meccanismi che ne regolano l’espressione.
La riduzione della sintesi proteica è legata sostanzialmente a fenomeni di “resistenza anabolica” nell’ambito delle vie segnale che la controllano.
Tra questi, la resistenza al segnale insulinico sembra essere quella che impatta più negativamente sulla responsività anabolica della cellula muscolare a livello della via di segnale Akt/mTOR. Sulle vie di amplificazione della degradazione proteica (che vede il sistema ubiquitina/proteosoma come meccanismo centrale) agisce in particolar modo l’aumento età-correlato dell’infiammazione (inflammaging).
Numerosi studi hanno dimostrato una stretta associazione tra inflammaging e inattività fisica in soggetti sani adulti e anziani. Mentre è stato dimostrato che l’esercizio fisico è in grado di ridurre i livelli circolanti di citochine infiammatorie, che vanno tipicamente aumentando nel corso dell’invecchiamento (IL-6, IL-1b e TNF-a).
Come mantenere la massa muscolare dopo i 70 anni
L’esercizio di forza è generalmente quello meno rappresentato nella vita degli anziani. Spesso erroneamente è unicamente “sostituito” con l’esercizio aerobico. In realtà le due tipologie di attività non sono sovrapponibili e col passare degli anni la loro pratica settimanale combinata diventa fondamentale all’interno di qualsiasi programma antiaging metabolico/muscolare.
Di contro, nel corso della vita si assiste in molti casi a una riduzione dell’attività fisica svolta, riguardante sia semplici attività quotidiane (lavori fisici domestici, spostamenti a piedi o in bicicletta ecc.) sia attività di tipo programmato (allenamento).
Spesso un limite allo svolgimento dell’attività fisica (specie negli ultrasettantenni) è legato a sensazioni di dolore o discomfort che accompagnano lo svolgimento del lavoro muscolare (anche se di bassa intensità). Oppure è dovuto alla presenza di comorbidità che, peggiorando la qualità della vita, inducono gli anziani a seguire uno stile di vita sedentario.
Indicazioni di mantenere anche un minimo livello di esercizio fisico dovrebbero invece essere parte di qualsiasi programma rivolto al trattamento di condizioni croniche, associate o meno a stati dolorosi. Ciò significa educare i soggetti coinvolti sull’importanza dell’attività motoria per il mantenimento della salute del muscolo e di altri sistemi fisiologici correlati.
Sarcopenia ed esercizio di forza
L’allenamento di forza è l’unico in grado di contrastare efficacemente la perdita di massa muscolare, agendo specificamente sulle fibre muscolari di tipo II e producendo risposte anaboliche di adattamento non ottenibili con gli allenamenti aerobici.
Diversamente dal lavoro aerobico di endurance, gli esercizi muscolari di forza inducono ipertrofia muscolare.
- Aumentano forza e potenza contrattile;
- stimolano, inoltre, la capacità neuro-motoria specifica di reclutamento delle fibre muscolari di tipo II e questo consente sia un miglioramento dell’output muscolare di forza, sia d’intervenire positivamente nel rallentare i fenomeni di denervazione.
Gli allenamenti di forza negli anziani possono essere eseguiti in totale sicurezza se ben programmati. È stato dimostrato che attraverso stimoli di appropriata intensità si possono produrre guadagni di massa muscolare e di forza comparabili con quelli ottenibili negli individui più giovani.
Condizionare l’espressione di forza negli anziani attraverso esercizi e metodologie specifiche ne consente poi l’utilizzo funzionale in varie attività che la richiedono. È il caso di deambulazione, velocità del passo, spostamento di carichi, eccetera.
Programmi di allenamento con i pesi riducono di oltre il 30% il rischio di cadute, come dimostrato in studi a lungo termine (2 anni). Questo vuol dire modificare significativamente uno degli aspetti che caratterizza maggiormente il quadro di “fragilità” dell’anziano.
Sarcopenia ed esercizio aerobico durante l’invecchiamento
Pur non avendo effetti direttamente impattanti sulla sarcopenia, l’esercizio aerobico ha, tuttavia, la capacità di ricondizionare importanti meccanismi che indirettamente influenzano la sua evoluzione e le possibili complicanze.
La sarcopenia contribuisce, infatti, ad abbassare il dispendio energetico a riposo e il TEE. Inoltre, riduce, come detto, la sensibilità periferica all’insulina e la capacità di ossidazione dei grassi durante esercizio submassimale. Questi fattori complessivamente facilitano l’accumulo di grasso sottocutaneo e viscerale. Tra i 18 e i 55 anni gli individui sedentari acquistano, infatti, mediamente da 8 a 10 kg di peso corporeo (prevalentemente come grasso), seguiti da ulteriori aumenti di 1-2 kg nei successivi 10 anni per poi iniziare a perdere peso generalmente dopo i 70 anni.
In alcuni studi su soggetti di mezza età e in età senile, in sovrappeso, l’esercizio aerobico d’intensità moderata (VO2 max ≥60%) si è generalmente rivelato efficace nella riduzione del peso corporeo totale anche in assenza di variazioni del regime dietetico.
La perdita media di peso in periodi da 2 a 9 mesi varia da 0,4 a 3,2 kg (1-4% del peso corporeo totale). L’entità della perdita totale di grasso dipende dalla quantità complessiva delle sessioni di allenamento e dalla loro intensità e durata, ma può essere pari a quella riscontrata nelle popolazioni di giovani in sovrappeso.
Riduzione del grasso e aumento del consumo di ossigeno
Riduzioni del grasso totale di circa il 3,5% del peso corporeo, con incrementi significativi del consumo di ossigeno durante l’esercizio (+16%) si possono registrare dopo 12 mesi di allenamento aerobico (3 volte alla settimana, 45 minuti per sessione al 60% della VO2 max), senza interventi sull’alimentazione giornaliera. L’allenamento aerobico può determinare risultati significativi anche sulla perdita di tessuto adiposo intraddominale (viscerale). Il controllo del peso e della composizione corporea nel corso dell’invecchiamento attraverso regimi di allenamento aerobico, indipendentemente da cambiamenti del programma nutrizionale, si è dimostrato anche in grado di preservare il controllo glicemico a riposo, migliorando i livelli d’insulina.
Tuttavia, l’impatto dell’esercizio aerobico sul metabolismo energetico e glucidico è strettamente legato all’intensità dello stimolo fisico. Sembra che i risultati più significativi si ottengano con sessioni che superino almeno il 60% della VO2 max. Gli effetti a lungo termine dell’esercizio di endurance sulla composizione corporea e sui meccanismi di ossidazione lipidica sono legati anche all’aumento della biogenesi mitocondriale, nonostante su questo aspetto gli effetti migliori si ottengono combinando attività aerobiche ad attività lattacide e/o di forza.
L’esercizio aerobico ha dimostrato di avere effetti migliorativi sui livelli di testosterone nei maschi, correlandosi a riduzioni del grasso corporeo. In donne in postmenopausa sembra incrementare significativamente i livelli ematici delle SHBG (Sex Hormone-Binding Globulins): proteine di trasporto leganti gli ormoni sessuali, che con l’età tendono a diminuire associandosi a insulino resistenza, iperglicemia e iperinsulinemia.
Come affrontare la sarcopenia
L’attività fisica regolare rappresenta l’elemento dello stile di vita che ha la maggiore influenza (insieme all’adozione di un regime alimentare adeguato) nel rallentare l’involuzione età-correlata dei sistemi fisiologici coinvolti nel movimento (neuroendocrino, immunologico, cardiovascolare, polmonare, muscolo-scheletrico). D’altra parte, l’inattività ha un impatto significativo sui fattori di rischio per malattie croniche (obesità, aterosclerosi, ipertensione, diabete, artrite reumatoide).
L’OMS afferma che 4‑5 milioni di morti all’anno potrebbero essere evitate se la popolazione globale fosse più attiva. Se l’attività fisica rappresenta uno strumento per intervenire in modo attivo nella prevenzione di molti disturbi correlati all’invecchiamento, l’inattività fisica non è dunque da considerarsi come “neutra situazione di partenza”, all’interno della quale inserire programmi di allenamento al fine di ottenere benefici per la salute.
L’inattività fisica deve essere inquadrata come una situazione dai rischi e costi elevatissimi per la salute del singolo e con pesanti ricadute economiche a livello di bilanci pubblici.
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