Allenamento per sedentari: i segnali che il corpo invia e cosa fare

allenamento per sedentari ecco come e perché le persone possono e devono vincere un atteggiamento pigro

C’è un filo silenzioso che lega dolori muscolari, analisi del sangue che riportano valori alterati, calo di energia e pensieri negativi. Spesso si tratta di un’abitudine diventata invisibile: la sedentarietà. Una condizione che può strisciare nella quotidianità per mesi, anni, fino a trasformarsi in un problema di salute, fisica e mentale, serio. Ma da dove si comincia quando si è inattivi da tanto o da sempre? Abbiamo parlato con Francesco Malatesta, M.Sc., MFS ISSA Europe e specializzato in Fitness Funzionale, per capire come affrontare l’allenamento per sedentari con consapevolezza e metodo.

Allenamento per sedentari: quando il corpo lancia segnali d’allarme

Secondo Francesco Malatesta, la sedentarietà è un fenomeno globale che interessa oltre un miliardo e mezzo di persone. Ma chi sono davvero i sedentari? La definizione varia da Paese a Paese: per alcuni si tratta di chi non fa esercizio fisico da molto tempo, per altri basta avere un lavoro d’ufficio che costringe a stare seduti per otto ore al giorno.

Quel che è certo, sottolinea Malatesta, è che la consapevolezza della propria condizione di persone troppo poco attive arriva spesso tardi, quando il corpo comincia a mandare segnali evidenti. Ci si rivolge al Personal Trainer spinti da una serie di “campanelli d’allarme” che non si possono più ignorare. Si tratta, nello specifico, di:

  • problemi posturali che causano dolori cronici a collo e schiena;

  • alterazioni nei parametri ematici come glicemia elevata, trigliceridi alti;

  • ipertensione;

  • modifiche visibili al corpo, come la pancia prominente o gambe poco toniche;

  • calo generale di energia, con difficoltà a reggere i ritmi abituali;

  • conseguenze psicologiche, come ansia, isolamento e pensieri negativi.

Molte persone, prima ancora di rivolgersi a un esperto, iniziano a cercare risposte online. Ed è proprio il Web a restituire una diagnosi non troppo rassicurante: la mancanza di attività fisica è collegata a un ampio spettro di problemi fisici e mentali, confermati da fonti scientifiche e divulgative.

“È a questo punto – sottolinea Malatesta – quando l’evidenza diventa impossibile da ignorare, che nasce la domanda fondamentale: come affrontare la sedentarietà?”

Prima la valutazione, poi il movimento: ogni corpo ha la sua storia

Quando una persona sedentaria si rivolge a un professionista, la fase iniziale non è mai identica per tutti, spiega Francesco Malatesta. La sua esperienza gli ha insegnato che per ottenere risultati duraturi, e soprattutto sicuri, è fondamentale partire da una valutazione accurata e personalizzata.

I parametri da osservare sono molteplici:

  • efficienza del sistema cardiorespiratorio;

  • livello di trofismo muscolare (cioè la quantità e qualità della massa muscolare);

  • equilibrio e flessibilità.

L’obiettivo, in prospettiva, è arrivare a impostare un lavoro di forza almeno 2-3 volte a settimana, ma questo si può fare solo partendo dal punto giusto. E questo punto cambia radicalmente da persona a persona.

Due profili molto diversi

Ci sono individui che hanno dolori persistenti e nessuna esperienza di attività fisica passata.

Altri, invece, sono ex-sportivi che hanno smesso di fare esercizio da qualche anno e si ritrovano a dover fare i conti con problemi muscolari o metabolici.

E poi ci sono i “misti”: persone che hanno avuto una vita attiva, ma che per via di impegni, stress o demotivazione si sono progressivamente fermate, fino a sentirne le conseguenze.

Non solo il corpo: la mente va coinvolta

Accanto alla valutazione fisica, c’è un altro elemento chiave che Malatesta sottolinea con forza: la motivazione. Capire perché una persona vuole (o deve) iniziare a muoversi è fondamentale per costruire un percorso che sia sostenibile e duraturo.

“Spesso si sente dire: sono fatto così, oppure alla mia età cosa vuoi che cambi – racconta Malatesta – ma queste sono barriere che ci costruiamo. Il primo passo è avere la lucidità di guardare in faccia la realtà, capire il perché ci si trova in una situazione di allarme e decidere di uscirne”.

Sedentarietà e attività fisica: una questione anche di genetica

Un altro elemento importante è la predisposizione genetica. Gli studiosi suggeriscono che esiste una correlazione tra geni e attitudine alla sedentarietà, in particolare legata alla gestione del tempo libero. Alcune persone, semplicemente, non contemplano l’attività fisica come parte del loro stile di vita, anche quando ne percepiscono i benefici.

Negli ultimi anni, diversi studi scientifici su gemelli umani e modelli animali hanno evidenziato che la predisposizione alla sedentarietà o all’attività fisica è, in parte, scritta nei nostri geni. In particolare, i registri gemellari di Paesi Bassi e Finlandia mostrano che l’ereditarietà dell’attività fisica nel tempo libero può arrivare fino all’84% in adolescenza. Lo stesso vale per il tempo passato in comportamenti sedentari (come guardare la TV o stare seduti) che ha una componente genetica stimabile fino al 35%.

L’ambiente moderno, comodo, ricco di stimoli passivi e povero di necessità motorie, favorisce chi è geneticamente predisposto a muoversi meno, rendendo più difficile contrastare la sedentarietà. Per questo, la consapevolezza del proprio profilo genetico può essere utile, non come scusa, ma come punto di partenza per un intervento su misura, più realistico e sostenibile nel tempo.

Sebbene la sedentarietà possa essere un tratto evolutivo, è comunque importante cercare di essere fisicamente attivi, afferma uno studio recentissimo. I ricercatori hanno dimostrato per la prima volta che la predisposizione genetica alla sedentarietà è associata a un rischio maggiore di sviluppare le malattie cardiovascolari più comuni. Un’elevata predisposizione genetica alla sedentarietà può aumentare il rischio di malattie cardiovascolari fino al 20%.

Dal test al programma: adattare il percorso di allenamento per sedentari con ascolto e gradualità

Oltre ai test fisici standard, Francesco Malatesta integra sempre nella fase iniziale anche un colloquio approfondito sullo stile di vita della persona. Chiede dove e come vive, se si muove nella quotidianità, se accusa dolori e in quali momenti della giornata. Questo dialogo è essenziale per inquadrare il contesto reale e individuare eventuali abitudini poco sane, spesso sottovalutate. È il caso dell’abuso dell’automobile.

“Mi capita spesso di vedere persone che vivono a 300 metri dalla palestra e vengono in macchina – racconta Malatesta – e questo è già un indicatore, anche motivazionale.”

È proprio partendo da qui che Malatesta costruisce un primo approccio “light”, fatto di tempi di lavoro ridotti e attenzione alla mobilità articolare, soprattutto nei casi più critici.

L’obiettivo è far sentire alla persona che muoversi è possibile, anche quando il punto di partenza è molto distante da uno standard di forma fisica.

Verifica costante: il percorso si costruisce passo dopo passo

Un ulteriore elemento importante è la verifica continua degli effetti dell’allenamento pensato per coloro che stanno uscendo da stili di vita sedentari. Ogni corpo risponde in modo diverso. Ci sono casi in cui anche una semplice lezione di pilates può risultare eccessiva. Per questo motivo, è fondamentale monitorare costantemente:

  • la risposta fisica agli esercizi proposti;

  • un’eventuale insorgenza di dolori o stanchezza eccessiva;

  • la tenuta motivazionale nel tempo.

Il programma viene quindi costruito progressivamente, con obiettivi realistici e adattamenti costanti, evitando forzature che potrebbero scoraggiare o danneggiare.

La chiave, ancora una volta, è ascoltare: il corpo, la persona, il contesto.

Un corpo antico in un mondo moderno: la vera sfida dell’allenamento per i sedentari

Per chiudere il cerchio, Francesco Malatesta propone una riflessione che va oltre la singola persona. Il problema, secondo lui, non è solo nella scarsa motivazione o nella mancanza di cultura del movimento, ma anche in una discrepanza evolutiva profonda.

“Il nostro corpo è stato programmato migliaia di anni fa per sopravvivere in un ambiente ostile dove serviva muoversi per cercare cibo, protezione, acqua. Dove non c’era nulla di pronto, né comodo”.

Oggi viviamo in un mondo iperprotetto, automatizzato, iperstimolato, in cui il cibo è ovunque, la sicurezza è data per scontata e la fatica è spesso evitata. In questo contesto, chi ha una predisposizione genetica alla sedentarietà si trova agevolato dall’ambiente, invece che contrastato da esso.

Migliaia di anni fa, anche le persone “pigre” erano costrette a muoversi. Oggi, invece, è possibile vivere anni interi senza mai uscire da questa comfort zone.

Ma il conto, prima o poi, arriva. Ed è lì che si deve intervenire. Non solo con esercizi e programmi, ma con una nuova consapevolezza: quella di abitare un corpo antico, in un mondo che chiede sempre meno al fisico. E proprio per questo, fare movimento diventa un atto di equilibrio, adattamento e, in ultima analisi, di libertà. Un corpo e una mente in salute permettono un invecchiamento attivo e la possibilità concreta di mantenere autonomia e indipendenza nel tempo.

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