PRIMA DI ESSERE UN PROGETTO È STATO UN’IDEA. PRIMA ANCORA, UN’ESPERIENZA DI VITA VISSUTA.
VINCITORE DEGLI IDF EUROPE PRIZE IN DIABETES 2017

 

“Quattro volte al giorno iniezioni di insulina, tre di veloce ed una lenta. Niente più dolci, niente più Coca Cola, niente succhi di frutta e merende fatte con i compagni di scuola.”

 

Così è iniziata la mia relazione con il diabete: per anni ho cercato una risposta al mio senso di inadeguatezza alla vita, poi ho capito che se avevo bisogno di qualcuno per cambiare, quel qualcuno ero io.

 

Un giorno, mentre guardavo uno speciale sulle antilopi del Sud Africa, rimasi affascinata dal movimento che i maschi della specie sono in grado di fare per mostrare la loro forza e vitalità. Questo movimento, costituito da una serie di salti in aria fino a due metri di altezza, è chiamato PRONKING (letteralmente “mettere in mostra”). Quel gesto, impresso nella mia mente, era il simbolo della vitalità e della forza che nascevano in me con la pratica sportiva e così decisi che quel termine avrebbe dovuto rappresentare il marchio di riconoscimento del mio lavoro, sia da un punto di vista performativo sia da un punto di vista emotivo.

 

Il diabete è una di quelle malattie che non possono essere solo accettate, ma anche vissute. Come tutti coloro i quali siano affetti da diabete sanno, i tentacoli di questa malattia abbracciano un po’ tutti gli aspetti della vita quotidiana ed è proprio da questa consapevolezza che è nata l’idea del mio progetto.Già solo 15 anni fa la gente non sapeva, aveva quasi paura a parlare di diabete o lo considerava una malattia di chi “mangia troppi dolci”. Oramai c’è una conoscenza collettiva maggiore, un’attenzione differente degli “estranei” alla problematica e una ricerca continua di mezzi e strumenti per stare meglio da parte dei diabetici, che vivono giorno per giorno il problema.

 

La scelta alla base della ricerca è stata proprio quella di passare da un “coinvolgimento passivo” imposto dalla malattia, a un “coinvolgimento attivo” voluto da ognuno per sé. Non si è oggetti affetti da diabete, ma soggetti capaci di migliorare quotidianamente la qualità di vita.

 

Il lavoro messo in atto attraverso il Pronking si collega al diabete solo una volta conclamatosi e s’intreccia volutamente con la capacità di gestire la malattia.
Il trattamento insulinico, l’alimentazione e l’attività fisica sono un connubio perfetto per il mantenimento e/o il miglioramento della salute del paziente, se programmati in base alle caratteristiche fisiologiche della persona.

 

Ci sono forum, campagne di controllo, conferenze, premi, e programmi di allenamento che nascono proprio per sostenere tutti. Perché è di un Noi che si parla.

 

Il Percorso

La mia carriera sportiva – ormai molti anni fa – inizia con la danza. Come ogni ballerina professionista mi allenavo circa sei ore al giorno. Ogni singolo giorno. La mia vita era il ballo e vivevo in funzione di un sogno: diventare una delle ballerine più brave al mondo. Mettendo da parte amici, genitori e la vita spensierata di una ragazza di 15 anni, avevo scelto un’altra vita, fatta di sacrificio e orari serrati. Non esisteva altro. Poi un giorno qualsiasi è subentrata la malattia.

Dopo qualche anno dall’esordio avevo raggiunto già vette importanti nel mio ambito, ma la fatica che sentivo ogni giorno e lo stress psicologico che vivevo erano diventati più forti rispetto al mio sogno, e non ero più in grado di gestire me stessa né tanto meno la malattia.

 

Pur non conoscendo affatto cosa fosse il diabete, un po’ per mia incoscienza un po’ per le poche informazioni che c’erano rispetto alla gestione della malattia in ambito sportivo, mi sono ritrovata costretta a viverne le conseguenze.

 

Dal momento in cui ho conosciuto quella nuova “parte di me”, considerandomi ancora a tutti gli effetti una sportiva agonista, i problemi principali erano sostanzialmente tre:

 

1. controllare e gestire i valori glicemici da un punto di vista pratico (misurazione glicemia),

 

 

 

 

2. la paura dell’ipoglicemia durante le competizioni, che potevano durare anche per delle ore, e la difficoltà nel capire – essendo una disciplina di tipo misto – se e quanti grammi di carboidrati integrare,

 

3. essere cosciente del fatto che – e forse è questo il punto che mi ha spinta a creare quello che ora è il mio lavoro – nessuno dei miei preparatori atletici e dottori fosse in grado di aiutarmi a gestire il diabete, né da un punto di vista prettamente terapeutico né da un punto di vista metabolico sportivo durante la performance.

 

Ho vissuto per moltissimi anni con la consapevolezza, ma senza la conoscenza accademica, che avrei potuto e dovuto cambiare delle cose, partendo dalla mia esperienza. Decisi che era ora di agire e intrapresi il percorso di studi presso la Nostra ISSA: avevo l’esperienza, avevo la voglia, ma mi mancavano gli strumenti per mettere in pratica il mio pensiero, che sarebbe dovuto diventare un obiettivo concreto. Era importante poter aiutare le persone affette da diabete a praticare sport in tutta sicurezza, ma soprattutto donare loro consapevolezza del corpo, delle proprie capacità e anche dei propri limiti.

 

Questo è il punto cruciale: il limite. Non inteso nella sua accezione negativa, ma piuttosto punto di partenza per capire come e perché allenarsi in un certo modo, con una certa frequenza ed intensità. Grazie alla fiducia e alla super visione del team Medico Sportivo della Regione Lazio, sono riuscita a lavorare con ragazzi diabetici sportivi, organizzando dei campus di preparazione alla competizione. Avvalendomi di una strumentazione per test di valutazione di composizione corporea, avevo così la possibilità di sapere realmente quale fosse il punto di partenza dell’atleta, quindi una volta sistemate alcune componenti – BCM, FM, FFM, ECW – si poteva programmare un lavoro suddiviso in microcicli. Prendevo i miei dati e li testavo nuovamente dopo un mese circa.

 

Questo tipo di lavoro – che ho svolto poi anche personalmente al di fuori delle Associazioni Diabetiche – mi ha permesso di creare una formula per un allenamento specifico (tutt’ora sotto osservazione scientifica), la quale non solo dà effettivi miglioramenti a livello glicemico e di fabbisogno insulinico, ma migliora anche gran parte dei parametri di riferimento alla Composizione Corporea, portando così il livello prestativo ad una qualità superiore.

In questo modo si passa in molti casi da quello che è noto chiamarsi di stress emotivo (paura delle ipoglicemie) a eu-stress.

 

Sapere a priori come il corpo risponde a un certo input, tramite la conoscenza minuziosa dei propri bisogni metabolici – non più solamente grazie all’esperienza, ma soprattutto agli studi basati su informazioni scientificamente provate – solleva lo sportivo diabetico dallo svolgere una serie di correzioni e valutazioni glicemiche costanti. Questo significa quindi avere la possibilità di pensare esclusivamente alla propria performance, migliorando notevolmente il proprio stato psicofisico.

 

I Premi Awards
Nel mese di Agosto sono stata chiamata dal Presidente dell’Associazione Diabetici Sportivi Italia, che dopo diverse valutazioni fatte insieme al Comitato Sportivo di riferimento, mi ha comunicato l’idea di volermi candidare come unica rappresentante italiana agli IDF Europe Prize in Diabetes 2017 (Abu Dhabi) in una delle due categorie presenti ai Premi – la cosiddetta “Long-Standing Achievment “ – dedicata agli operatori non medici. Era forse un sogno? No, dopo qualche giorno capii che non lo era, ma non credevo possibile la mia candidatura ad un premio internazionale così ambito!

 

Candidati da circa 55 nazioni e neanche un attimo per farmi prendere dal panico, avrei dovuto presentare tutto il lavoro svolto negli ultimi 2 anni in un solo mese: un percorso di stesura ed elaborazione dati durato giorno e notte e strutturato anche grazie al supporto del mio team (medico super visore, la mia assistente al progetto e la traduttrice di riferimento).

 

Il 4 Ottobre 2017 – ultimo giorno utile per l’invio del progetto – inviai il lavoro e il 4 Dicembre 2017 ero ad Abu Dhabi a discutere il lavoro svolto, in veste di Vincitrice dei Premi IDF (International Diabetes Federation). Non credo di aver mai vissuto nella mia vita qualcosa di così emozionante e gratificante. Sapere che i sacrifici fatti siano stati riconosciuti e premiati in questo modo mi ha spinta a credere che il mio lavoro non fosse solo un’idea interessante, ma anche un progetto portato avanti – seppur in continuo divenire – con coscienza e conoscenza.

 

Avevo un’immagine più nitida sia del mio progetto sia di me stessa: una consapevolezza maggiore di voler continuare a studiare, testare ed elaborare, una necessità di comunicarne i risultati e non più un “gioco” di cui non parlare.

Diventava una sorta di obbligo morale quello di diffondere l’idea che Il mio lavoro fosse nato per sostenere chi, come me, vive costantemente il desiderio di poter praticare attività sportiva in tutta sicurezza, senza necessariamente abbandonarsi all’ignoto o all’improvvisazione.

 

Grazie al Premio ricevuto, questo “nuovo” approccio allo sport da parte del diabetico è stato poi considerato indispensabile protagonista del Convegno della Maratona Internazionale di Roma dello scorso 7 Aprile 2018 presso la Nuvola di Fucsas, a cui ho partecipato come relatrice per discutere ed illustrare il lavoro portato avanti con il “PRONKING”.

 

Ed è ora, dopo il lavoro che ha preso forma e un progetto che cresce giorno dopo giorno che sono fermamente convinta che sia giunto il momento di diffondere un’idea di pensiero condiviso che renda lo sport ufficiale pilastro terapeutico, in combinazione e a supporto del trattamento insulinico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a cura di Cristina Cucchiarelli – CFT ISSA Europe

 

 

 

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