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La dieta mediterranea adattata all’attività fisica

Molte delle diete che spopolano tra gli appassionati di fitness spesso si basano su presupposti senza alcuna evidenza clinica (dieta dei gruppi sanguigni, dieta detox, ecc) ed il personal trainer, che il più delle volte rappresenta figura di riferimento per chi frequenta le palestre, deve avere oggi le competenze giuste per fare una corretta promozione della salute, basandosi solo su raccomandazioni consolidate da un punto di vista scientifico. In tale contesto la dieta mediterranea (DM), se opportunamente ”adattata”, potrebbe essere una valida strategia alimenare da utilizzare anche per chi fa attività sportiva.

 

Le origini della dieta mediterranea

 

Verso la fine degli anni ’40, l’idea che un regime alimentare potesse avere ripercussioni sulla salute non era poi così scontata e Ancel Keys, fisiologo americano dell’università del Minnesota, considerato successivamente il padre della Dieta Mediterranea, fu il primo a descriverne le proprietà in relazione alla combinazione di abitudini nutrizionali, stili di vita e tradizioni che accomunavano gli individui che popolavano le terre bagnate dal mar mediterraneo.

 

In particolare, i suoi studi partirono dall’osservazione che alcuni popoli residenti in questa zona presentavano livelli di colesterolo ematici più bassi e una minore insorgenza di problematiche cardiovascolari. Nel 1975 Ancel Keys pubblica la prima versione del libro: “Eat well, and stay well. The Mediterranean way”, che conteneva i risultati del Seven Countries Study e descriveva il concetto di DM in maniera semplice e chiara.

 

La DM è un modello alimentare caratterizzato dal consumo variabile di legumi, frutta, frutta secca e semi, cereali non raffinati, con moderate quantità di olio d’oliva, e prodotti di origine animale (derivati lattiero-caseari, pesce, carne e uova) che variano a seconda delle aree geografiche.

 

 

Circa 6000 studi dopo…

 

Quasi tutti sanno che la DM è stata riconosciuta dall’UNESCO come bene protetto e inserito nella lista dei patrimoni orali e immateriali e dell’umanità nel 2010, pochi sanno però che effettivamente soltanto negli ultimi 15 anni ha conosciuto popolarità scientifica (5850 risultati in Pubmed cercando “Mediterranean Diet”).

 

La DM è nota oggi alla comunità per i notevoli vantaggi antiossidanti e anti-infiammatori apportati a lungo termine sulla salute, dovuti probabilmente al consumo di alimenti ricchi in composti bioattivi (polifenoli, fitosteroli e carotenoidi) presenti soprattutto in frutta, verdura, noci, cereali integrali e legumi. In termini di macronutrienti, carboidrati e lipidi rappresentano la principale quota energetica (è stato stimato che circa il 30% dell’apporto calorico giornaliero dovrebbe essere garantito dai lipidi ed il 50% circa dai carboidrati) mentre le proteine apportano un contributo pari a circa il 20% della quota calorica complessiva quotidiana.

 

 

Quasi mai si parla di macronutrienti in valore assoluto, anzi appare chiaro come fattore caratterizzante della DM (in termini strettamente nutrizionali) il rapporto tra i diversi macronutrienti. In particolare, il rapporto tra proteine e carboidrati può variare da 1:3 a 1:6 in alcuni casi, ed è proprio questa flessibilità che rende la DM particolarmente adattabile alle caratteristiche dei soggetti.

 

Ad ogni modo, l’originale DM non è soltanto un regime alimentare ma un vero e proprio modus vivendi che include la regolare pratica di esercizio fisico e in generale uno stile di vita più attivo. La DM, dalla comprovata efficacia su pazienti con problematiche metaboliche e cardiovascolari, potrebbe essere una buona scelta anche per quelli sani che praticano sport e/o atleti professionisti?

 

 

Dieta Mediterranea adattata dalla salute alla performance

Apporto di carboidrati, energia e fibra

 

Una persona impegnata in un programma fitness che si allena 2-3 volte a settimana per 30-40 minuti effettivi di esercizio, non ha bisogno di stravolgere le proprie abitudini o aumentare chissà di quanto l’introito di nutrienti, in quanto una normale dieta di 1800-2400 kcal soddisferebbe il fabbisogno energetico della maggior parte dei soggetti tra i 50 kg e gli 80 kg.

 

Chi si allena per sessioni di durata inferiore ai 60 min per 3-4 volte a settimana dovrebbe raggiungere un apporto di carboidrati di circa 3-5 grammi per kilogrammo di peso corporeo (g/kg/die) da personalizzare a seconda del soggetto. Soggetti, invece, impegnati in sessioni di allenamento di maggior volume, frequenza e/o intensità (fino a 2-3 ore al giorno per 5-6 volte a settimana ad un intensità pari a 65-80% della V02max), dovrebbero raggiungere un apporto di carboidrati almeno pari a 5-8 g/kg/die per sostenere il dispendio energetico e ripristinare velocemente le scorte di glicogeno consumato.

 

Infine, chi si allena addirittura più volte al giorno ad intensità elevate (3-6 ore di allenamento al 65-85% della V02max, per 5-6 giorni a settimana) dovrebbe aumentare l’apporto di carboidrati fino a 10 g/kg/die o addirittura 12 g/kg/die a seconda del periodo di allenamento o calendario di gare.

 

Nella gestione del profilo glicemico in relazione all’introduzione di carboidrati, il ruolo delle fibre diventa fondamentale, assicurando un rilascio maggiormente modulato di nutrienti nel torrente ematico. Tuttavia, anche pasti a base di soli carboidrati e poche fibre possono essere utilizzati quando l’obiettivo è quello di recuperare glicogeno il più rapidamente possibile e quindi l’aumento della velocità di digestione e assorbimento del glucosio diventa una situazione ricercata (Figura 1).

 

 

Mangiare carboidrati alcune ore prima dell’esercizio sembra promuovere l’ossidazione dei carboidrati, diminuire il senso della fatica in generale migliorare la performance. Infatti la prestazione ad alta intensità, da un punto di vista biochimico, è maggiormente dipendente dall’ossidazione dei carboidrati, aumentando l’espressione della piruvato deidrogenasi (PD), mentre la lipolisi è parzialmente inibita, con riduzione dell’ossidazione dei grassi.

 

La PD è un complesso enzimatico responsabile dell’ossidazione del piruvato come substrato finale della via glicolitica. Studi recenti hanno messo in evidenza una ridotta attività della PD in seguito a diete ad alto contenuto di grassi (a scapito dei carboidrati), compromettendo inevitabilmente il potenziale di prestazione dell’esercizio ad alta intensità.

 

 

Quest’ultima considerazione dovrebbe da sola eliminare ogni ragionevole dubbio sull’adozione di regimi nutrizionali ricchi di grassi e poveri di carboidrati, che di fatto in termini “prestativi” non trovano le necessarie prove di efficacia.

 

Nelle Figure 2 e 3 sono schematizzati gli apporti di carboidrati in base al tipo di attività svolta e al numero di ore settimanali di allenamento.

 

 

Apporto di lipidi

 

In merito all’apporto lipidico, è importante considerare il rapporto tra i cosiddetti “grassi buoni” (insaturi) e “grassi cattivi” (saturi), rispetto al mero quantitativo lipidico totale. Alcuni studi hanno mostrato come l’adozione della DM migliori le difese antiossidanti, aiutando a tamponare l’elevato stress ossidativo con produzione di radicali liberi (Specie Reattive dell’Ossigeno-ROS) causato dall’attività fisica intensa.

 

La produzione di ROS svolge un ruolo fondamentale nella modulazione della contrattilità, promuovendo la biogenesi mitocondriale e innescando diversi sistemi di adattamento post-esercizio. La liberazione di ROS non va dunque completamente inibita, ma va modulata affinché si mantenga un equilibrio tra la produzione di ROS e le capacità di difesa antiossidante (in parte endogena, in parte proveniente da alimenti, soprattutto frutta e verdura, ricchi di antiossidanti come tocoferoli, carotenoidi e polifenoli).

 

In tale senso, la diversa composizione lipidica della dieta può influire sulla salute mitocondriale, e nello specifico una predominanza di acidi grassi saturi porta a disfunzione mitocondriale associata ad un aumento dello stress ossidativo, mentre una predominanza di acidi grassi insaturi e polinsaturi migliora le funzioni mitocondriali, aumentandone l’efficienza energetica e riducendo la produzione di ROS.

 

Inoltre, la DM essendo ricca di acidi grassi omega-3 ha fatto evidenziare effetti interessanti sui principali marcatori del danno muscolare (troponina 1, mioglobina, CK), dell’infiammazione (TNF-α) e sui dolori a insorgenza ritardata tipici del periodo post-allenamento (DOMS).

 

Apporto di proteine

 

Per quanto riguardo l’apporto proteico giornaliero l’lnternational Society of Sports Nutrition (ISSN) ha identificato un range che va da 1.4 g/kg/die (per gli sport di endurance) a 2.4 g/kg/die (per gli sport di forza e potenza), che permette di ottimizzare gli adattamenti indotti dall’esercizio fisico.

 

Altre organizzazioni come l’Academy of Nutrition and Dietetics, Dietitians of Canada e l’American College of Sports Medicine (ACSM) hanno proposto un range molto simile ma leggermente più basso rispetto a quello proposto dall’ISSN, ovvero da 1.2 a 2.0 g/kg/die (Figura 4).

 

 

L’apporto proteico va modulato a seconda del soggetto, dello sport praticato, dell’obbiettivo da raggiungere e preferibilmente frazionato durante la giornata (Figura 5) per aumentare la biodisponibilità aminoacidica al fine di sostenere il recupero e la sintesi proteica muscolare.

 

 

Conclusioni e raccomandazioni pratiche

 

Sulla base di quanto espresso la DM rappresenta un modello dietetico estremamente versatile che può adattarsi bene a varie esigenze nutrizionali da soddisfare, anche per chi pratica attività fisica. A seconda del modello di prestazione, delle ore di impegno settimanale, dell’obbiettivo da raggiungere, la scelta di alimenti e bevande (in quantità, tipologia e distribuzione pre-e post-esercizio) dovrà essere opportunamente studiata.

 

 

Di seguito una sintesi di concetti pratici che è possibile considerare nella pianificazioni di un regime di DM in relazione all’allenamento:

 

  • 1) Privilegiare fonti di carboidrati integrali lontano dai tempi che precedono e seguono immediatamente una sessione di esercizio (per favorire la velocità di digestione e assorbimento dei nutrienti, soprattutto glucidi e proteine);
  • 2) Così come per gli alimenti proteici, anche per quelli a base di carboidrati (riso, pasta, patate, mais, ecc) è bene considerare una loro rotazione giornaliera/settimanale;
  • 3) Distribuire le fonti di proteine nell’arco di tutta la giornata, privilegiando fonti nobili a basso contenuto di grassi saturi (es. carni bianche, legumi, albumi d’uovo, yogurt da latte scremato) o ad elevato contenuto di grassi polinsaturi (pesce pescato). L’ottimizzazione della quota proteica in momenti specifici (es. colazione, post-allenamento) potrà inoltre prevedere l’utilizzo di integratori di proteine in polvere (siero di latte, uovo o vegetali) in idonea quantità (c.ca 20/30 g a porzione);
  • 4) Favorire il consumo di verdure ai pasti principali; se l’allenamento deve seguire il pranzo (entro 1-2 ore), meglio limitare o evitare le verdure (per non allungare i tempi di digestione) per recuperarle nel pasto serale o in altri momenti della giornata (es. pomodorini, pezzi di carota, finocchio o altre verdure a scelta come snack, in abbinamento ad alimenti apportatori di carboidrati e/o proteine – es. cracker, frutta, grana/parmigiano, ecc);
  • 5) Distribuire le fonti di grassi nella giornata, sia attraverso il consumo di frutta secca (noci, mandorle, nocciole, ecc), sia attraverso l’utilizzo di olio extravergine di oliva di elevata qualità.

 

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a cura di Giuseppe Cerullo – PhD in Scienze delle attività motorie e sportive, Università degli Studi di Napoli

 

Massimo Negro – PhD Ambulatorio di Nutrizione Clinica e dello Sport, Centro di Medicina dello Sport Voghera, Università di Pavia

 

e Giuseppe D’Antona – PhD Direttore Sanitario e della Ricerca Scientifica, Centro di Medicina dello Sport Voghera, Università di Pavia

 

 

 

 

 

 

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