Attività fisica e declino cognitivo: un rapporto inversamente proporzionale, lo conferma la scienza

attività fisica e declino cognitivo gli ultimi studi

Con l’invecchiamento della popolazione, la compromissione delle funzioni cerebrali rappresenta una delle sfide sanitarie e sociali più rilevanti dei prossimi decenni. Negli ultimi anni, numerosi studi hanno evidenziato il ruolo di fattori modificabili, come l’alimentazione, lo stile di vita e soprattutto l’attività fisica, nel contenere l’impatto del declino cognitivo. Se è noto da tempo che il movimento giova al corpo, sempre più ricerche indicano che anche il cervello trae benefici significativi da un esercizio regolare, soprattutto quando mirato e strutturato.

Più nello specifico, il deterioramento cognitivo lieve (MCI – Mild Cognitive Impairment) è una condizione intermedia che colpisce un numero crescente di persone. La memoria e le funzioni esecutive risultano alterate, ma la funzionalità quotidiana è ancora in parte conservata. Questa fase rappresenta spesso il preludio all’evoluzione verso forme più gravi di demenza, come il morbo di Alzheimer.

Ma quali legami esistono tra attività fisica, declino cognitivo e prevenzione della demenza? Che tipo di esercizio è più efficace? E quali cambiamenti concreti si osservano a livello cerebrale? Uno studio recente sull’allenamento contro resistenza nei soggetti con MCI risponde a queste domande fornendo interessanti evidenze neuroscientifiche.

Declino cognitivo e attività fisica, i dati

Questo lavoro ha valutato l’effetto dell’allenamento contro resistenza su un campione di 44 anziani con MCI. I partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi (allenamento e controllo) e osservati per 24 settimane con risonanza magnetica e test cognitivi. I risultati mostrano che:

  • il gruppo che ha svolto allenamento di resistenza ha migliorato la memoria episodica verbale.

  • Nel gruppo di controllo si è osservata una riduzione del volume della materia grigia nell’ippocampo e nel precuneo (area del cervello coinvolta in numerose funzioni cognitive complesse). Si fa così riferimento ad aree fondamentali per la memoria e l’orientamento spaziale.

  • L’integrità della sostanza bianca è migliorata nel gruppo allenato, mentre è peggiorata nei controlli (con variazioni di anisotropia frazionaria e diffusività).

Questi risultati confermano che l’esercizio di resistenza ha un impatto protettivo e neuroplastico, attenuando l’atrofia cerebrale legata all’invecchiamento cognitivo.

Gli studi più recenti confermano ciò che già la saggezza antica aveva intuito. Il binomio nutrizione ed esercizio fisico è centrale per la salute, anche sul piano cognitivo. Lo ricordava Ippocrate, padre della medicina, quando affermava: “Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo trovato la strada della salute”.

Una lezione ripresa secoli dopo dal fisiologo Rodolfo Margaria: “L’attività fisica è come un farmaco e come tale va somministrato da chi lo conosce. Se poco non sortisce nessun effetto, se troppo può risultare tossico”.

Oggi, grazie alla ricerca, si è certi che anche il cervello può trarne beneficio concreto e misurabile dall’attività fisica.

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