“L’essere umano e gli animali, superata una certa età ‘biologica’, tendono naturalmente alla sedentarietà intesa come disinteresse al movimento, pigrizia nell’intraprendere un’azione o nel portarla a termine.”
Una volta, tale naturale ipocinetismo, era caratteristico di un certo tipo di maturità, avanzata negli anni e prodotta da un vissuto ricco di fisicità.
Oggi la situazione é decisamente cambiata: tecnologia e benessere sociale, automatismi e ricerca sconsiderata dei beni da consumare, hanno esasperato la natura psicologica dei nostri comportamenti.
Così, quella che dovrebbe essere una naturale attitudine al movimento, sì è trasformata nella scelta di svolgere 2-4 allenamenti a settimana, quando possibili e con fini prevalentemente estetici o prestativi, mentre il quotidiano resta affidato alla moderna comodità, ricca di pensiero e scevra di azione. Per tale ragione, negli ultimi 40 anni, sono aumentate notevolmente le problematiche a carattere metabolico, strutturale, neurologico e cognitivo andando a coinvolgere non solo la classe dei senior ma anche quelle età, quali quella della maturità o giovinezza, che al contrario dovrebbero essere espressione di massimo vigore e piena salute. Seguendo tale direzione ci si aspetterebbe che le aspettative di vita nel tempo si riducano, e invece, sorprendentemente, la tendenza è nel senso opposto.
Aumenta la longevità e il suo tasso di crescita, mostrando così un futuro con contorni paradossali (Fig 1 e 2).
La spiegazione è data dal progresso della farmacologia e delle tecnologie/capacità di intervento avverso le cause di mortalità.
Brutalmente potremmo dire che il progresso è, allo stesso tempo, causa dell’invecchiamento precoce e supporto alla continuità dello stesso.
Se analizziamo i dati, ciò che preoccupa maggiormente non è tanto la prevalenza della quota di anziani ma la loro qualità ovvero indipendenza in termini sociali e, soprattutto, sanitari.
Il problema non sarà essere un anziano ultra-ottantenne ma una persona priva di autonomia e affidata a giovani che saranno nettamente di meno.
…le previsioni sono quelle catastrofiche del collasso economico-sociale, con tutto quello che di negativo ne consegue…
A meno che non si corra ai ripari promuovendo un’idea di fitness diverso, legato più al benessere psico-fisico che all’estetica o la prestazione, o che quantomeno si integri con queste.
Così da realizzare un intervento di educazione alla salute che abbia effetto preventivo sulle nuove generazioni e di consolidamento o miglioramento della condizione generale di benessere sugli adulti ed anziani.
Naturalmente, bisogna essere consapevoli che, anche se il fine è comune, i piani e le modalità di intervento su di un giovane o adulto sono decisamente diversi rispetto all’anziano.
Un’enorme discriminante, anche solo in termini anamnesici, è rappresentata da ciò che si è fatto prima di arrivare ad una certa età. Per dirla proprio tutta, la piena maturità si raggiunge intorno ai 20 anni; ne sussegue un progressivo invecchiamento che può essere più o meno lungo, con accenti più o meno evidenti, a seconda del patrimonio genetico di partenza e dei comportamenti posti in essere per la sua “conservazione. Si potrà così determinare, preservazione, miglioramento o distruzione e deterioramento del pattern genetico di partenza.
Ipotizziamo di entrare nello specifico di una categoria “Senior classica”, se così si può dire, affidata al normale decadimento biologico…i presupposti non sono proprio favorevoli..
Da anni la scienza e la ricerca in ambito scientifico si occupa della materia e ci dice che:
A. Tendenzialmente diminuisce la statura a causa della riduzione degli spazi intersomatici (dischi intervertebrali per meccanismi compressivi e disidratazione).
B. La parte trabecolare dell’osso prevale su quella corticale dando il via a quella modificazione dell’architettura dell’osso conosciuta come osteoporosi che può essere causa di fratture.
C. La composizione corporea cambia, interessando in questa trasformazione i muscoli, ancora una volta le ossa e il tessuto adiposo. La massa muscolare si modifica sia quantitativamente che qualitativamente.
1. Quantitativamente si osserva una generale diminuzione collegata ad una ridotta capacità di sintesi proteica (cala la produzione di GH e dei fattori di crescita insulino simili).
2.Qualitativamente aumenta la percentuale del numero delle fibre ST per diminuzione delle FT (rimodellamento dei motoneuroni ad alta soglia di attivazione o, addirittura, la loro morte cellulare a favore di quelli a bassa soglia).
Tale sarcopenia e prevalenza di fibre a bassa soglia di attivazione (Slow Twitch) produce, da un lato, conseguenze funzionali quali una diminuzione della forza generale e, dall’altro, strutturali quali la osteopenia.
Di fatti è la massa muscolare attraverso la tensione/deformazione esercitata sull’osso (strain) uno dei principali regolatori della osteogenesi.
Poca o bassa tensione producono poco o basso rimodellamento, senza contare poi che fisiologicamente, con l’avanzare dell’età, si assiste ad un aumento degli osteoclasti (che realizzano il riassorbimento dell’osso) rispetto agli osteoblasti (che sintetizzano l’osso).
Intuitivamente si può comprendere il perché, in una situazione di questo tipo, il tessuto adiposo cresca:
I. Ci si muove meno (per naturale tendenza sottolineata all’inizio).
II. Con minor resa energetica (minor quantità di fibre muscolari e con prevalenza di quelle metabolicamente meno attive).
III. Con un metabolismo non più prevalentemente glucidico (nelle fibre ST il contenuto in glicogeno e gli enzimi glucidici sono nettamente inferiori rispetto a quello in lipidi con relativi enzimi).
Ci si muove meno, con meno resa e, per dirla tutta, ci si muove peggio!
D. Il sistema cardiovascolare si modifica funzionalmente, la frequenza cardiaca massima diminuisce e la spiegazione più accreditata è quella che coinvolge il nodo senoatriale, dunque il sistema di conduzione intrinseco del cuore e la sensibilità alle catecolamine dei recettori B-1.
La Gettata Cardiaca Massima diminuisce in corrispondenza della diminuzione del Volume di Scarica Sistolica e qui le ragioni sono meno evidenti. Probabilmente il tutto si lega alla disidratazione e corrispondente diminuzione del volume ematico con un corrispondente aumento delle resistenze periferiche. I vasi sanguigni arteriosi perdono infatti molta della loro elasticità e ciò produce un aumento della resistenza al flusso e decrementa la quantità di sangue verso la periferia.
E. Il calo della componente elastica dei polmoni e delle strutture costituenti la gabbia toracica, con conseguente irrigidimento, incidono negativamente, a livello respiratorio, sulla capacità vitale, volume espiratorio forzato e aumenta il volume residuo. I polmoni pur se mantengono una capacità notevole ed una buona diffusione, funzionalmente non riescono ad ottimizzarla.
F. Per tutto quanto riportato nei precedenti punti è facile intuire che coefficienti metabolicamente significativi, quale il VO2 Max, calano drasticamente.
G. Si assiste ad una generale diminuzione della funzionalità del sistema nervoso legata alla sua capacità di rilevare gli stimoli, elaborarli e trasformarli in impulsi di reazione.
Di fatti è oggettivo notare un rallentamento in tutte le espressioni di movimento che, spesso, è la causa primaria di indipendenza che lentamente si spegne. Proprio ricollegandoci a quest’ultimo punto, vorremmo farvi riflettere sul fatto che, con il passare degli anni, il senso di sicurezza del proprio corpo, diventa una prerogativa fondamentale per l’autonomia delle attività quotidiane del soggetto non più giovanissimo. Con il termine senso di sicurezza intendiamo la gestione del controllo delle capacità di relazione con lo spazio.
La paura di cadere, di non sentirsi stabile oppure di non avere la gestione del proprio corpo rende fragile e spesso dipendente una persona anziana anche nelle normali attività della vita del quotidiano. Seguendo la logica di quanto sinora premesso, forse abbiamo intercettato una linea di base, un punto di partenza ideale che dovrebbe caratterizzare il programma di allenamento a prescindere dagli scopi finali (miglioramento qualità/quantità del sistema muscolare, osseo, cardiovascolare, respiratorio e del metabolismo) e che nell’anziano trova grande applicazione: l’allenamento del piede.
Ogni individuo, nel corso della sua evoluzione, da neonato ad adulto, sviluppa delle capacità di gestione di equilibrio che in linea di massima sfrutta tre meccanismi.
Il primo comprende quello che viene definito “strategia di caviglia” che trova il suo punto focale nell’articolazione sottoastragalica. È interessante ricordare che l’osso astragalico (astragalo) è una struttura ossea che non ha inserzioni muscolari ma riccamente avvolta da legamenti. I legamenti oltre ad assolvere ad una funzione di mantenimento e tenuta dei capi ossei sono strutture derivanti dal tessuto connettivo estremamente ricche di propriocettori. Questi informano il Sistema Nervoso Centrale di cosa succede a livello articolare per far si che si possa attuare un meccanismo di correzione attivando o meno determinati muscoli.
L’evidenza del meccanismo di equilibrio che sfrutta la strategia di caviglia lo si evince nell’effetto di una visibile oscillazione del soggetto quando in piedi su base stretta il corpo si muove in modo caotico e disordinato disegnando un immaginario pendolo invertito con apice mobile nella testa e punto fisso nei piedi, in un range di circa 4°.
Quando le sollecitazioni diventano eccessive per essere gestite solo dal meccanismo della caviglia, entra in gioco un altro sistema che definiamo “strategia di anca” dove si osserva un visibile sbilanciamento del corpo in avanti o dietro, nonché lateralmente a livello del bacino.
In pratica il corpo cerca di reclutare muscoli potenti come i flessori dell’anca, gli estensori oppure gli abduttori e gli adduttori e tutti quelli che si inseriscono in prossimità del bacino per far si che il centro di gravità del corpo resti sempre proiettato nel poligono di base che cade tra i piedi.
Vi sarà capitato di stare in bilico sul bordo di un marciapiede? Ecco! Per evitare di cadere dal marciapiedi usate la strategia di caviglia, all’occorrenza sfruttando lo spostamento di aria con le braccia come se nuotaste per raccogliere il corpo e riportarlo verso il centro.
Quando la sollecitazione diventa ancora più importante e neanche con l’uso dei muscoli dell’anca, del bacino e della colonna si riesce più a contenere il centro di gravità sui piedi, allora il sistema mette in atto il terzo meccanismo di controllo che definiamo “strategia del passo”.
In questo caso si osserva un istintivo passo nella direzione della spinta, che consente al soggetto di aprire la sua base di appoggio per consentire al centro di gravità di cadere in una nuova base, decisamente più ampia.
Sono meccanismi istintivi, naturali che mettiamo in atto ogni momento della giornata senza neanche pensarci volontariamente. Nel soggetto anziano, si osserva un graduale decremento di queste capacità ed il controllo dell’equilibrio diventa un forte limite anche nelle semplici attività del quotidiano. Questo deficit di controllo si accompagna spesso ad una paura di cadere che rende l’anziano dipendente da appoggi vari, che possano essere strutture intorno al suo ambiente, quali sedie, tavoli, mobili, oppure bastoni o persone che supportino il suo movimento.
La scarsa capacità di raccogliere informazioni dal piede e dunque anche dalla caviglia, predispongono il soggetto anziano a fare affidamento principalmente alla strategia di caviglia che tende a chiudersi per abbassare la base di appoggio all’altezza delle anche e ridurre drasticamente la velocità dei movimenti per avere maggiore controllo.
Il fitness funzionale riveste un ruolo decisivo in questo scenario del controllo dell’equilibrio perché fonda le sue basi soprattutto nella gestione delle informazioni propriocettive per il controllo del corpo.
Una regola che pone prima l’ascolto e l’immagine del movimento e poi il movimento stesso.
In quest’ottica il “risveglio” di sistemi dormienti, quali la capacità di gestione della strategia di caviglia e dei sistemi propriocettivi podalici trova nel functional training un alleato vincente per il recupero della capacità del controllo dell’equilibrio e della stabilità del soggetto anziano.
Il diffuso concetto della core stability trova ormai largo impiego in molti programmi di ricondizionamento fisico-motorio. Una buona stabilità di base è prerogativa per un postura ed un controllo fisico ottimali. In questa visione vogliamo riportare all’attenzione un sistema di stabilità che va oltre il classico core training inteso come la stimolazione del corpetto addominale, della colonna e dei sistemi periferici degli arti.
Questo sistema è intrinseco al piede e pone il suo essere nella comprensione dell’architettura anatomica e sensoriale del piede stesso come un’unità funzionale che deve essere perfettamente viva nel suo complesso che definiamo “Foot Core System” (1).
In questo sistema del meccanismo di controllo podalico si vede la sinergia funzionale di 3 sottosistemi intimamente embricati ed in relazioni tra loro:
– un “sistema Neurale”, che comprende i recettori muscolo-tendinei locali e globali, i recettori legamentosi (compresa la fascia plantare) e i recettori cutanei plantari;
– un “sistema Passivo”, che comprende la parte ossea, fascia e legamenti che come appena visto rivestono un doppio ruolo, informativo recettoriale e di supporto strutturale;
– un “sistema Attivo”, che comprende la muscolatura intrinseca del piede come stabilizzatore locale e la muscolatura estrinseca del piede come stabilizzatore globale.
Nel soggetto anziano l’importanza di riattivare la sinergia di questi sistemi può creare dei vantaggi concreti nella velocità di esecuzione del passo e del maggiore controllo posturale (2).
La maggiore stabilità di una base solida e “attiva” pone ulteriore sicurezza anche negli spostamenti e nei movimenti più complessi della vita quotidiana.
La stimolazione neurale dovrebbe essere la base del programma di riattivazione funzionale, per consentire al piede di relazionarsi meglio al Sistema Nervoso Centrale tramite i suoi informatori propriocettivi.
Questa parte sensoriale-sensitiva può avere più applicazioni pratiche in stretta relazione con il soggetto e con le sue capacità. Esempi di stimolazione possono essere il camminare sul prato a piede nudo, sui sassolini, oppure delle ciabatte puntiformi che “pungono” la pianta del piede risvegliando i sistemi informativi. Anche l’automassaggio di tutto il piede, dal dorso, alle dita, fino a tutta la pianta trova largo impiego in questo tipo di stimolazione.
La stimolazione passiva è invece volta principalmente alla riduzioni delle tensioni fasciali plantari che costringono il piede a posture costrette e sofferenti. Esempi di stimolazione possono essere il rilasciamento con compressione con delle palline da golf o da tennis a seconda della rigidità sopportata, oppure su dei rulli tipo mazza da scopa, o simile, dove si fa passare il piede lentamente per un tempo che va da 1 a 3 minuti. Utile anche dei divaricatori delle dita di uso estetico per aprirle a ventaglio e mobilizzarle nel peno range possibile. Oppure uno stretching passivo delle dita dei piedi singolarmente o globalmente.
La stimolazione attiva, infine, è la parte più impegnativa della riattivazione funzionale poiché pone totale collaborazione dell’attenzione del soggetto che dovrà a questo punto ricreare gli input per il movimento.
Il primo approccio della parte attiva comprende lo “short foot” dove si tende a ricreare l’arco plantare accorciando la distanza longitudinale (dita-tallone). Questa attività ha l’obiettivo di alzare l’arco plantare mediale attivando volontariamente la muscolatura intrinseca del piede che stabilizza l’intero sistema podalico e crea una base dove le forze sono ben distribuite come ha egregiamente dimostrato Kapandji nei suoi trattati di Fisiologia Articolare.
Una volta date le basi del controllo degli archi plantari e della tenuta dei carico in questa posizione, dopo che il soggetto ha acquisito la padronanza di tale condizione, si può aumentare il livello di difficoltà stimolando l’intero sistema dell’equilibrio con la tenuta su una sola gamba.
Il soggetto per pochi secondi, mantenendo le dita ben distribuite (a ventaglio) e in condizione di short foot, terrà la posizione su un solo piede sfi dando le sue capacità di controllo. Inizialmente saranno sufficienti pochi secondi che col passare delle settimane saranno intensificate fino ad un buon controllo evidente della tenuta su di un solo piede. Sul controllo monopodalico entrano in gioco la capacità stabilizzatoria del complesso dei glutei che tiene il bacino orizzontale permettendo al corpo di avere una postura idonea all’appoggio su un solo piede. Qualora questo meccanismo
non dovesse essere sufficiente bisognerà indagare sul perché i glutei non assolvono al loro lavoro, probabilmente lavorando sulla correzione di disfunzioni alla bassa schiena, articolazione sacroiliache o altro.
Quando vi è la piena capacità del controllo motorio ad un solo piede, occorrerebbe far progredire il training con movimenti di lunge e di squat adattati al soggetto.
In tal modo, si potrà favorire un recupero di capacità di forza, controllo motorio ed equilibrio, dando maggiore sicurezza nella vita quotidiana.
Spesso dal soggetto anziano questi esercizi vengono visti come un gioco e per esperienza possiamo riportare anche un clima molto goliardico. Questo probabilmente è l’ingrediente più importante in un programma di riadattamento motorio in una persona anziana. Il soggetto sente di riacquisire giorno dopo giorno capacità che credeva di aver perso, che in realtà aveva solo dimenticato.
E se è vero che quando si invecchia si torna un po’ bambini, il functional training per gli anziani è il connubio perfetto per mettersi sempre alla prova ritrovando il piacere di giocare a piedi nudi..
A.Parolisi – PFT ISSA MFS
F. Malatesta – PFT ISSA MFS
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