SEMBRA SCONTATO E BANALE MA MOLTI ASPETTI SONO SCONOSCIUTI O IMPROVVISATI. FACCIAMO CHIAREZZA ALLA LUCE DI DATI SCIENTIFICI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLO STRETCHING.

 

Iniziamo con un aforisma che riassume tutti gli aspetti contrastanti e i dubbi su questa fase propria di ciascun allenamento:

 

“Se passi troppo tempo a riscaldarti, perderai la gara. Se non ti riscaldi affatto, può capitare che non la finirai nemmeno” (Gianni Bugno, ex ciclista professionista, campione del mondo).

Alla luce di questa affermazione siete sicuri di riscaldarvi nel modo corretto prima della vostra attività? Analizziamo sinteticamente cosa emerge dai dati scientifici a nostra disposizione.

 

IL RISCALDAMENTO è la parte preparatoria di una seduta di allenamento (warm-up o avviamento motorio); seguono la parte centrale (fase di sviluppo dell’allenamento vero e proprio) e la parte finale o defaticamento (cool-down).

 

E’ considerato molto importante, indipendentemente dalla disciplina praticata, per due aspetti: prevenzione degli infortuni e ottimizzazione della performance attesa. Se ben condotto, come prima cosa fa aumentare la temperatura muscolare e di conseguenza quella interna del corpo: è una reazione aspecifica, ovvero un adattamento comune a tutti gli stimoli, indipendente dagli esercizi di vario tipo che possono essere utilizzati in questa fase e che analizzeremo in seguito. A cascata una serie di fenomeni complessi porteranno alla realizzazione di una contrazione muscolare più efficace, un miglioramento dello sviluppo della forza, una diminuzione dei tempi di reazione, un aumento della flessibilità muscolare, un aumentato apporto di sangue (quindi di ossigeno) ai muscoli.

 

Teoricamente con il RISCALDAMENTO vengono ricercate e create le condizioni “ideali” per la performance dell’atleta. E’ logico intraprendere in questa fase esercizi impegno e difficoltà crescente (intensità) per passare in modo razionale dalla fase cosiddetta di quiete a quella di attivazione.

 

L’aspettativa principale è quella di ridurre/eliminare gli infortuni di carattere muscolare propri dell’attività sportiva di livello, in particolare quella che prevede contrazioni muscolari veloci, esplosive, potenti: se logico e ben strutturato sembra assolva a questo compito anche se sono necessari ulteriori approfondimenti scientifici.

 

Al di là delle definizioni particolareggiate del termine “RISCALDAMENTO” utilizzate nell’ ambito della metodologia e della fisiologia dell’allenamento, è chiaro che questa fase introduttiva del training debba “creare uno stato di preparazione psicofisica e cinestesico-coordinativa ottimale” (Weineck J. 1988) ovvero “organico-funzionale e mentale” (in “Allenare per vincere” R. Benis e AA.VV., SDS 2016).

 

IL RISCALDAMENTO ATTIVO, da non confondere con quello PASSIVO ottenuto con l’ausilio di fonti esterne come saune, docce calde, massaggi, viene classificato come GENERALE o SPECIFICO a seconda delle tipologie di esercizio impiegate.

 

 

Gli EFFETTI più importanti di una corretta fase di RISCALDMENTO sono:

 

• Aumento della temperatura corporea con maggior afflusso di sangue ai gruppi muscolari coinvolti grazie all’incremento della frequenza cardiaca (aumento di gittata e portata cardiaca) e della vasodilatazione (apertura dei capillari, anche nei tessuti poco o niente irrorati come quello osseo e fasciale;

 

• Trasmissione facilitata degli impulsi nervosi con innalzamento della soglia di sensibilità dei recettori neuro-muscolari (recettori muscolo-tendinei di Golgi, fusi neuromuscolari, corpuscoli di Ruffini, ecc.);

 

• Diminuzione del “tempo di latenza” (tra arrivo dello stimolo nervoso e risposta muscolare) con conseguente miglioramento della rapidità di esecuzione e controllo dei movimenti;

 

• Riduzione della viscosità muscolare con miglioramento del ROM articolare (anche per maggior produzione di liquido sinoviale) e della flessibilità muscolo-tendinea: tutto questo si traduce in una migliorata funzionalità meccanica;

 

• Miglioramento dell’eccitabilità del sistema nervoso centrale con possibilità di generare rapide e intense contrazioni a livello muscolare;

 

• Diminuzione degli infortuni muscolo-scheletrici;

 

• Attivazione/regolazione dei sistemi cardio-circolatorio-respiratorio;

 

• Aumento della vigilanza, della percezione visiva e della disponibilità mentale alla prestazione con miglioramento dell’efficienza degli stati di attivazione/inibizione (coordinazione motoria in tutte le sue declinazioni).

 

Tutti questi effetti migliorativi influenzano positivamente la capacità di esprimere forza, potenza, resistenza e flessibilità muscolare (Weineck J. 2009).

 

Relativamente al fattore eta’ e stato di allenamento si può dire che più l’atleta è esperto e maturo più necessita di un riscaldamento lungo e progressivo.

Come intensità alcuni studi indicano il 60% del VO2max, maggiore per un più elevato livello di allenamento, minore per i meno allenati: nella pratica effettuare un riscaldamento che induca  un leggera sudorazione senza una eccessiva fatica percepita (Shellock F. G. et al. 1985).

 

Anche la “tipologia nervosa” del soggetto che si riscalda può indirizzare il riscaldamento: un atleta “flemmatico” necessiterà di una attivazione intensiva, mentre per un soggetto “nervoso” (simpaticotonico) si opterà per una fase iniziale più blanda ma più prolungata (da 15-20 a 30-40 minuti come indicazione generale, terminando 5-10 minuti prima dell’inizio della competizione). La durata degli effetti sopra descritti di un buon riscaldamento permangono per circa 20-30 minuti per cui in caso di contrattempi e interruzioni dell’allenamento/gara meglio mantenersi “riscaldati” passivamente per poi ricorrere ad una attivazione ridotta nei tempi ma non nei contenuti prima della ripresa dell’attività.

 

INIZIO DEL RISCALDAMENTO: esercizi globali e multi-articolari che interessano tutto il corpo ma di intensità scarsa, via via crescente. Essenzialmente esercizi generali.

 

PARTE FINALE DEL RISCALDAMENTO: aumenta l’intensità, passando dagli esercizi generali a quelli speciali e a gesti specifici.

In definitiva i riscaldamento inizia blando e aspecifico e termina sufficientemente intenso e specifico per poter garantire poco dopo una migliore capacità di tollerare il carico ed una prestazione più elevata (da Weineck J. 2009, modificata da R. Benis 2006).

 

Questo grazie agli effetti già descritti, in particolare a regolazioni FISIOLOGICHE (riduzione delle tensioni, maggior scioltezza articolare e capacità di allungamento muscolare, aumento dell’elasticità muscolotendinea con ottimale regolazione di compliance e stiffness sport specifica, miglioramento dell’irrorazione sanguigna in vari tessuti, aumento dei parametri cardiaci, aumento della ventilazione polmonare in frequenza e profondità, aumento della temperatura corporea con migliore trasformazione energetica, miglioramento dell’eliminazione dei cataboliti, ecc.), regolazioni MOTORIE (capacità di coordinazione di specifici processi di movimento, ottimale capacità di reazione, aumentata sensibilità dei propriocettori, diminuita soglia di stimolo nervoso), regolazioni PSICHICHE (disponibilità “agonistica”, creazione di uno stato ottimale di eccitazione, concentrazione sul compito principale e sull’obiettivo).

 

Giungere “a regime” per una ottimale prestazione è un delicato e progressivo intervento psicofisico (in “Allenare per vincere” R. Benis e AA.VV., SDS 2016). Quando si mette in atto la fase di riscaldamento si deve tener conto del momento della giornata: la prestazione fisica aumenta con il passare delle ore per cui al mattino il riscaldamento deve essere più graduale e prolungato rispetto al pomeriggio o alla sera (a parità di soggetto e di disciplina praticata).

 

Cosa inserire in modo preponderante nel riscaldamento ? Bisogna ragionare in termini di specificità della disciplina che si andrà a praticare: se il fattore limitante o preponderante sarà cardiovascolare (es. maratona, ciclismo) piuttosto che di mobilizzazione articolare (es. arti marziali, danza, ginnastica artistica) i contenuti metodologici (esercizi) della fase di riscaldamento saranno scelti di conseguenza.

 

Attenzione ad intensità troppo elevate e/o tempi prolungati di lavoro durante il riscaldamento: come già anticipato nell’aforisma iniziale si può instaurare un fatica precoce che limiterà la performance successiva (allenamento/gara). Attenzione alle condizioni climatiche in particolar modo alla temperatura esterna: gli atleti esperti sanno bene che con freddo e pioggia si allungano i tempi del riscaldamento, viceversa con temperature elevate.

 

 

 

Tipologia di riscaldamento in riferimento alla natura della competizione o dell’allenamento da effettuare. Per gli sforzi di breve durata (fino a 10”, per es. salti, slanci, sprint) importante è elevare la temperatura muscolare senza affaticare il sistema nervoso utilizzando esercizi intensi ed esplosivi ben dosati. Per sforzi di media durata (da 10” a 5’) ci si deve comportare come nel caso precedente inserendo anche l’attivazione della componente cardio-respiratoria in ragione delle specifiche della disciplina che si andrà a praticare.

 

Per attività di durata prolungata (oltre i 5’) incentrare il riscaldamento sull’attivazione progressiva del sistema cardiovascolare. Per gli sport di squadra (sforzi definiti di “natura intermittente”) è utile comportarsi come per gli sport di breve durata (svolgere esercizi esplosivi come salti e sprint) inserendo contemporaneamente esercizi che stimolino le componenti cardio-respiratorie con modalità tipiche di “intermittenza” (es. esercitazioni “a navetta”, yo-yo, ecc.) (Bishop D. 2003).

 

Miscelando i vari fattori fin qui elencati possiamo “comporre” il nostro “riscaldamento ideale individuale” (durata, intensità, tipologia) ricordando che il fattore chiave è elevare la temperatura corporea/muscolare: l’aumento della t muscolare necessita di circa 5 minuti, mentre per l’aumento della t corporea di 2°C servono almeno 20 minuti, con intensità progressivamente crescenti che arrivino vicino a quella massimale (Bishop D. 2003; Joch W. et al. 2001).

 

Non devono poi trascorrere più di 5’ tra la fine del RISCALDAMENTO e l’inizio della GARA: se si rimane inattivi per più di 3-5’ con conseguente abbassamento della temperatura muscolare raggiunta diventa pericoloso per quanto riguarda gli infortuni (Cometti G. 2004).

 

Se ipotizziamo di suddividere didatticamente la FASE DI RISCALDAMENTO otteniamo idealmente la seguente organizzazione (in “Allenare per vincere” R. Benis e AA.VV., SDS 2016):

 

Pre-attivazione (pre-fase iniziale, con blandi esercizi preparatori e preventivi);

Riscaldamento GENERALE;

Fase di mobilizzazione (mobilità attiva stretching in varie forme);

Riscaldamento SPECIFICO (gestualità sport-specifica);

Allenamento o Competizione.

 

Vediamo alcuni contenuti da posizionare idealmente nelle varie fasi del RISCALDAMENTO, fatto salva quell’individualità che ogni trainer vedrà di volta in volta sul singolo atleta.

 

PRE-RISCALDAMENTO (Pre-attivazione): esercizi di mobilità articolare svolti a bassa velocità; esercizi per la stabilizzazione del “core” e di propriocezione sempre a velocità controllata. Eventualmente, secondo il singolo atleta e le sue problematiche posturali, esercizi di “rilasciamento mio-fasciale” (auto-release miofasciale con foam roller o con semplici palline di varia durezza) ed esercizi strettamente individuali di riscaldamento articolare specifico soprattutto con atleti non più giovani con problematiche articolari (in “Allenare per vincere” R. Benis e AA.VV., SDS 2016).

 

INDIVIDUALITA’ operativa è la parola chiave e l’intento peculiare di questa prima fase del riscaldamento (personal training atletico per la miglior performance).

 

RISCALDAMENTO GENERALE ATTIVO. Esercizi “aspecifici” rispetto alla disciplina praticata (ad esempio la classica corsa a bassa/moderata velocità o la pedalata blanda e simili) ma anche gli stessi gesti specifici (nuotata per il nuotatore, palleggi per il tennista, sollevamenti a vuoto per il pesista…) ma svolti a bassa intensità con l’obiettivo di aumentare i parametri cardio-respiratori e non solo: frequenza cardiaca, afflusso sanguigno ai muscoli target, atti respiratori, temperatura muscolare, sudorazione, fluidità articolare (tissotropia o tixotropia). In questa fase grazie alla contrazione progressiva di grandi gruppi muscolari (esercizi pluri-articolari) aumenta la temperatura corporea di 2-3°C raggiungendo un valore ottimale che porta all’aumento altrettanto decisivo dei processi metabolici con ricadute positive sulle successive prestazioni di forza e velocità, compreso l’aspetto coordinativo intra ed inter-muscolare e quello di tolleranza del “carico” a livello articolare (prevenzione degli infortuni).

 

Se ci si sta preparando per sforzi prettamente cardiovascolari (endurance) si deve avere un progressivo aumento del volume cardiaco e circolatorio e gli esercizi proposti avranno altre connotazioni tecniche, senza dimenticare che il sistema in questione si attiva con un certo “tempo di latenza” (ritardo) rispetto all’esecuzione degli esercizi per cui sono necessari per alcuni minuti a bassa/moderata intensità senza soluzione di continuità (gesti “ciclici” per un minimo di 5-15’ fino ad un massimo di 25-30’ secondo il livello agonistico, ad una intensità di circa il 60-70% della HRmax).

 

MOBILIZZAZIONE ARTICOLARE e FLESSIBILITA’ MUSCOLOTENDINEA (allungamento muscolare o stretching).
Esercizi in forma dinamica senza sovraccarico che ripropongono il fisiologico movimento articolare fi no al massimo ROM (Range of Motion) individuale consentito a velocità controllata.

 

Tranne che per scelta tecnica precisa (specifica utilità nelle fasi successive) vengono evitati esercizi “rimbalzati” (balistici) per sconguirare il “riflesso di stiramento” ad opera dei fusi neuromuscolari che porterebbero ad una riduzione dell’escursione articolare per via automatica riflessa. Esercizi di stretching statico o dinamico per aumentare ulteriormente la componente “muscolare” del ROM (flessibilità dei distretti muscolari che “servono” l’articolazione) per circa 10’ complessivamente. Chiaramente questa fase di mobilità e stretching se impostata in modo specifico sull’attività che si andra’ ad effettuare nella fase centrale dell’allenamento può rientrare appunto nella fase SPECIFICA del riscaldamento (arti marziali, ginnastica artistica e ritmica, ecc.)

 

RISCALDAMENTO SPECIFICO. Esercizi che simulano dal punto di vista fisiologico e biomeccanico le richieste dell’attività praticata dall’atleta: sono il momento più efficace per quanto riguarda la prevenzione degli infortuni e la possibilità di performance successiva (Bishop D. 2003). Va ricercata la coordinazione specifica ottimale ma anche l’efficienza metabolica caratteristica
tramite gesti, completi o parziali, che riproducono quello di gara, eventualmente utilizzando anche attrezzi. Carico crescente (come intensità ma anche come complessità esecutiva) che si avvicini nella parte finale di questa fase a quello prestativo. Inserire stretching dinamico specifico, principale prevenzione agli infortuni. Tempo totale 10-20 minuti.

 

Tanto maggiore sarà la potenza richiesta nell’attività sportiva tanto maggiore sarà l’importanza del riscaldamento specifico (AA. VV. NSCA 2010).

(Continua)

 

 

di Stefano Zambelli MFS M.Sc. Direttore Tecnico ISSA Europe

 

 

 

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